Volontari di cuore

primo piano di un tutore di un minore straniero non accompagnato

di Ilaria Donatio

Yahya aveva tredici anni quando, con sua sorella, partì dal Burkina Faso: i due erano ancora bambini e il loro viaggio, attraverso il Niger e il deserto, per raggiungere la Libia, durò oltre un mese. Durante il tragitto «uomini armati», ricorda oggi con grande fatica Yahya, violentarono ripetutamente la sorella, portandogliela via. Da allora, lui non ha più sue notizie.

Yahya è oggi in Italia e ha ottenuto lo status di rifugiato politico: ai sensi della Convenzione di Ginevra, è rifugiato colui che “essendo perseguitato o temendo di essere perseguitato per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad uno specifico gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche, ha abbandonato il proprio paese non potendo o non volendo avvalersi della protezione di tale Paese. La persona alla quale viene riconosciuto lo status ha diritto a un permesso di soggiorno della durata di 5 anni, rinnovabile”.

Nella mente di Yahya, oggi, sono ancora impresse – nitidamente, come in un film dell’orrore – le immagini delle tante persone morte davanti ai suoi occhi. Eppure, al termine del suo trattamento, somministrato per un disturbo post-traumatico da stress, Yahya si è definito «un sopravvissuto, perché la mia vita non è finita in quel deserto», dove invece ha perso una parte importante della sua famiglia.

Come Yahya, sono tantissimi i minori stranieri non accompagnati e richiedenti asilo che approdano in Italia o che transitano per il nostro Paese, per lo più diretti verso il Nord Europa, e che rischiano di restare vittima di lavoro nero e criminalità organizzata. Per Yahya e tutti i ragazzi come lui, lo scorso 29 marzo è stata approvata in via definitiva la legge 47/2017, promossa nella passata legislatura dall’allora senatrice Sandra Zampa, che garantisce la protezione e l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. La legge quadro, fortemente voluta da Save the children e dalle più autorevoli organizzazioni di tutela dei minori e dei migranti, promuove la figura del tutore volontario del minore non accompagnato. Il tutore “viene nominato dal Giudice tutelare ed esercita, a titolo volontario e gratuito, la responsabilità genitoriale”. Ha quindi la responsabilità di “curare gli interessi e di perseguire il benessere” del minore, che rappresenta negli atti e nei procedimenti con valore legale. In concreto, il tutore “vigila sulle condizioni di accoglienza, sui percorsi di integrazione, educazione e protezione del minore in coordinamento con le istituzioni responsabili per queste aree, tenendo conto delle sue inclinazioni, promuovendone i diritti e prendendo sempre in attenta considerazione il suo punto di vista”. Le norme prevedono la creazione, presso i Tribunali per i minorenni, di elenchi di persone disponibili ad assumere questo incarico. La procedura per la nomina e le responsabilità del tutore restano quelle definite dal Codice civile e dal Codice di procedura civile. Gli avvisi pubblici per la presentazione delle domande, invece, sono emanati su base regionale dai Garanti regionali dell’infanzia e dell’adolescenza.

I numeri del fenomeno

“Immagina di cambiare il futuro di un ragazzo arrivato in Italia senza genitori. Immagina di insegnargli i suoi diritti, di assisterlo nelle decisioni difficili. Non è un’adozione, non è un affido, è una guida per aiutarlo a capire il Paese in cui vive. Se immaginare tutto questo ti fa sentire orgoglioso, perché non farlo?”. Così la Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, presentava il video per la campagna di informazione, lanciata la scorsa primavera, sulla possibilità di diventare tutore volontario di un minore non accompagnato.

Secondo il report del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, i minori non accompagnati presenti sul nostro territorio al 30 settembre 2017 erano 18.491 (solo a Roma, nel 2016, se ne contavano 2.625). A oggi invece sono poco più di 2.400 in tutta Italia i cittadini candidati a diventare tutore volontario di un minore non accompagnato. Requisiti necessari: aver compiuto 25 anni, essere residenti in Italia e non avere precedenti penali. Nel Lazio le domande per diventare tutori dei minori stranieri non accompagnati sono state circa 650. A gennaio 2018 i tutor già formati erano 297 (i percorsi formativi sono della durata di 30 ore ciascuno e strutturati in tre moduli: fenomenologico, giuridico e psico-socio sanitario). Di questi, quasi tutti hanno deciso di entrare nell’albo ufficiale della Regione. L’obiettivo è di avere un tutor per ogni minore non accompagnato.

«La cultura e la provenienza del paziente – spiega Marta Lepore, psicoterapeuta dell’Unità per la terapia del trauma presso il centro clinico De Sanctis di Roma – incide molto sulla possibilità di instaurare una buona relazione terapeutica, precondizione necessaria per avviare un percorso di cura basato su empatia e fiducia nelle sue risorse. Se noi terapeuti non riusciamo a tracciare un confine sano con il paziente, il rischio è quello di sviluppare una traumatizzazione vicaria». In sintesi, questo dire che il terapeuta diventa testimone della realtà traumatica del paziente e questa esposizione può avere effetti negativi sulla sua vita personale e professionale, compromettendo la stessa neutralità terapeutica. Che cosa può fare la differenza? «Una rete di supporto fatta di supervisione fra colleghi ma anche di altre forme di collaborazione con la struttura che accoglie il richiedente asilo – aggiunge la dottoressa Lepore – e con figure tecniche che si occupano di lui: assistente legale, sociale, mediatore, educatore». Compresa quella del tutore legale, che certamente dovrà essere sperimentata e verificata alla luce di una realtà nuova, in continuo divenire. «Il paziente vedrà sempre nel terapeuta una figura di riferimento: in parte è e deve essere così – spiega Marta Lepore – sarebbe auspicabile la presenza di una figura “terza”, come quella del tutore, che possa avere funzioni di caregiver ed essere un riferimento costante e personalizzato, cosa che il terapeuta non può e non deve fare».

Storie come quelle di Yahya sollecitano un modello di genitorialità sociale, come quella prevista dalla legge Zampa. Non una generica responsabilità sociale ma un tipo di responsabilità specifica, tanto da apparire “sussidiaria” rispetto a quella dello Stato. Cittadini attivi che applicando il principio di sussidiarietà (previsto dall’art. 118, ultimo comma, della Costituzione) esercitano una nuova forma di libertà, solidale e responsabile, che ha come obiettivo la realizzazione dell’interesse generale. Ma anche i minori non accompagnati hanno una responsabilità: quella di diventare grandi, nonostante un passato pesantissimo e uno sradicamento traumatico.

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