Uccelli di carta

foto di due falchi naumanni

di Stefano Erbaggio

Quasi 250 specie nidificanti, che superano le 530 se sommate a quelle migratrici, svernanti e accidentali. Sono questi i numeri relativi all’avifauna in Italia. La penisola rappresenta un ponte naturale tra il Nord Europa e l’Africa, un percorso preferenziale per le migliaia di uccelli che ogni anno affrontano il lungo percorso migratorio che li conduce dai Paesi nordici verso il Sud del Mondo, finanche all’Africa subsahariana. Animali che hanno infranto i limiti imposti dalle leggi di Newton, abbandonando il suolo e colonizzando l’aria. Sono il più utilizzato indicatore faunistico, una spia. Come Malik, il giovane gheppio prigioniero dei turchi, protagonista del racconto di Randa Jarrar. Una popolazione di rondini è in grado di raccontare a un ricercatore triestino storie sulla situazione ambientale in un Paese a 11.000 km di distanza, per esempio un eventuale aumento nell’uso di pesticidi in Africa.

Gli uccelli sono animali che non conoscono confini, ancor meno quelli amministrativi, fittizi, inventati dall’uomo per separare i vari Stati. L’Unione Europea ha creato un sistema normativo esplicitamente rivolto alla tutela dell’avifauna, fondato sulla “Direttiva concernente la conservazione degli uccelli selvatici. 2009/147/CE (ex 79/409/CEE)” o “Direttiva Uccelli”, la base della rete Natura 2000. Qualsiasi intervento sul territorio che l’uomo metta in atto dovrebbe tenere in considerazione gli impatti che lo stesso avrebbe su tutte le componenti ambientali, tra cui l’avifauna. E per garantire questi requisisti sono state istituite la Valutazione di impatto ambientale (Via), e la Valutazione d’incidenza ambientale (Vinca). Quello che dovrebbe essere uno strumento a favore della corretta gestione del territorio e dell’ambiente, però, di rado è utilizzato nella giusta maniera.

Nel 2015, durante il XVIII Convegno nazionale di ornitologia, ha suscitato scalpore uno studio dal titolo “Le Regioni alle prese con l’ornitologia nelle procedure di V.I.A. e V.INC.A”, che analizzava un campione di procedure di Lombardia e Abruzzo, con risultati agghiaccianti. Solo il 3% delle procedure abruzzesi contenevano una check-list dell’avifauna del territorio interessato, percentuale che saliva a un misero 10% in Lombardia. Tanto che ha portato alla presentazione di una mozione sulla qualità delle procedure di Valutazione di impatto ambientale e Valutazione di incidenza ambientale in Italia, presentata dai partecipanti al convegno al ministero dell’Ambiente e a tutti gli enti istituzionali competenti. Dalla Commissione europea alle Regioni. Anche sulla base di quella mozione è stato condotto un ulteriore studio nel 2017, dal titolo “La tutela dell’avifauna nelle procedure di valutazione di impatto ambientale dell’Italia meridionale”, stavolta relativo alle regioni Puglia e Basilicata. Con risultati, purtroppo, altrettanto deludenti.

Direttive disattese

«Abbiamo iniziato questa indagine per verificare quanto le leggi europee che tutelano l’avifauna venivano rispettate in un Paese con un ruolo strategico come l’Italia – afferma Rosario Balestrieri ornitologo e coautore di entrambi gli studi – Immaginavamo di trovare qualche falla, sforzi di monitoraggi molto contenuti, ma i risultati sono andati ben oltre le più nere aspettative».

Il primo risultato che emerge da entrambi gli studi è che non tutte le Regioni mettono a disposizione i documenti delle varie fasi procedurali delle singole Via. Questo nonostante il decreto legislativo del 3 aprile 2006 n. 152, che dispone la pubblicazione sulle piattaforme web delle pubbliche amministrazioni coinvolte. In Campania, ad esempio, esiste un sito internet appositamente dedicato alle procedure di Via e Vas (Valutazione ambientale strategica), ma non tutti i progetti presenti contengono i relativi documenti. Inoltre, non vengono pubblicati tutti i progetti. Per esempio il “Grande progetto per il risanamento dei laghi dei Campi Flegrei”, che prevede vari interventi in aree Sic (Siti d’interesse comunitario) e Zps (Zone di protezione speciale) del Parco Regionale dei Campi Flegrei, non è presente sul sopracitato sito internet. Solo alcuni documenti relativi alle valutazioni ambientali sono rintracciabili sul sito internet del Comune di Pozzuoli, dove si legge che la Via e la Vas non sono necessarie. Nonostante l’intervento insista su un Sic.

La scarsa attenzione dedicata all’avifauna si rispecchia nel mancato coinvolgimento di personale competente, che applichi metodi riconosciuti dalla comunità scientifica per la ricerca e il rilevamento avifaunistico. «L’aspetto che più mi ha inquietato nell’analizzare questi errori grossolani e imbarazzanti – commenta Balestrieri – è il fatto che non sia necessario essere un naturalista, uno zoologo o un ornitologo per studiare l’avifauna all’interno di uno studio per una Via. Questo determina che in Abruzzo in uno studio mancavano gli uccelli nidificanti in quanto li avevano cercati in inverno oppure che il gruppo dei tordi venisse indicato con il termine uccelli “turgidi” invece che “turdidi”. Basti pensare che quasi nessuno degli autori coinvolti in oltre 50 progetti di studio era in possesso di una sola pubblicazione ornitologica e non aveva mai partecipato a un convegno di ornitologia».

Pale in libertà

Nel comune di Aliano, in provincia di Matera, è stato presentato un progetto per l’installazione di un parco eolico della potenza complessiva di 33 MW, composto da 11 aerogeneratori. Un impianto di piccola generazione, ubicato in una zona agricola. Nello studio d’impatto ambientale l’avifauna viene marginalmente menzionata. Non c’è traccia di una check-list delle specie presenti in periodo di nidificazione e di svernamento, non sono state condotte ricerche tramite metodi riconosciuti, non è stato dichiarato nessuno sforzo di campo. Insomma, gli uccelli ci sono, ma non interessa sapere quali, quanti, quando e come usano quel territorio. Eppure è riconosciuto dallo studio stesso che l’impatto più rilevante degli impianti eolici è proprio a carico dell’avifauna. «Bisogna considerare che alterare l’ambiente senza un’attenta analisi territoriale e senza redigere un piano di mitigazione degli effetti negativi – spiega Balestrieri – può sul serio avere conseguenze molto gravi sull’avifauna. Si pensi agli impianti eolici: posizionare delle pale di 90 m in altezza sulla rotta migratoria di rapaci veleggiatori può determinare la morte di molti individui di specie rare e super protette».

Quello di Aliano non è una caso isolato. Anche a Lesina (Foggia), comune del Parco nazionale del Gargano, la situazione è identica: per un impianto eolico composto da 14 aerogeneratori, della potenza complessiva di 28 MW, l’impatto sull’avifauna si limita alla citazione di uno studio risalente al 1996. La pratica di evitare ricerche sul campo, limitandosi a un semplice studio di una bibliografia obsoleta, è assai diffuso. A Vaglio di Basilicata è stato considerato sufficiente citare solo quattro studi pubblicati tra il 1992 e il 1996, come se gli ultimi vent’anni rappresentino un inutile vuoto temporale. Esistono anche casi dove, specialmente in Puglia, l’avifauna è studiata tramite transetti, punti di ascolto e di osservazione direttamente in campo. Qui le aziende non si limitano a citare la bibliografia, ma offrono dati appositi.

Il falco che non c’è

Il secondo risultato che emerge dai due studi, anche quando sono presenti dati appositamente raccolti sull’avifauna, riguarda la qualità dei lavori fatti. La cornacchia grigia (Corvus cornix) è spesso confusa con la Cornacchia nera (Corvus corone). Non si tratta di un errore da poco, visto che la Cornacchia nera è presente solo a nord delle Alpi. Un’altra vittima di confusione, anzi di invenzione in questo caso, è il Grillaio (Falco naumanni), ribattezzato Falco neunami. Il falco che non c’è. La crisi di identità del piccolo rapace, che a Matera ha la colonia più imponente d’Europa, ma è ampiamente diffuso in tutta la Murgia, risale a una scheda del Sic “Murgia Alta” compilata nel 1995. “Neunami” non è presente in nessuna check-list ufficiale, neanche nella direttiva Uccelli a cui fa riferimento la scheda, ma l’errore si è diffuso come un morbo. Ora il Grillaio è presente come Falco neunami in un enorme quantità di studi condotti in quelle zone, da parte di tecnici che non fanno riferimento alla nomenclatura scientifica ufficiale, che hanno fatto sì che l’errore si trasmettesse negli anni. Anche siti istituzionali di Parchi e Comuni presentano questo errore!

La triste storia del Grillaio, classico esempio di chi sta copiando senza sapere cosa, fa emergere un’altra pratica, diffusa quanto deleteria: quella, appunto, del copia-incolla. A Orsara di Puglia, per un intervento idraulico-forestale, viene prodotto uno studio d’impatto ambientale dove il paragrafo relativo alla fauna è per metà copiato da un articolo pubblicato su un numero di Silvae, la rivista dell’ex Corpo forestale dello Stato, del 2005. Quando il consulente ambientale redige diversi documenti per aziende diverse, invece, li ricicla. A Vaglio di Basilicata sono stati presentati, nel 2016, almeno tre studi d’impatto ambientale relativi all’istallazione di un solo aerogeneratore della potenza di 1 MW. Tutte e tre le società proponenti hanno sede a Foggia, due addirittura nello stesso palazzo. L’autore dei tre studi è lo stesso e i tre studi, ovviamente, sono identici.

«La tutela e la valorizzazione del capitale naturale si ottengono grazie a impegni concreti – dichiara Antonino Morabito, responsabile nazionale Fauna di Legambiente – e i due studi appena illustrati mostrano che in Italia le amministrazioni pubbliche sono ancora lontane dal capirlo e, soprattutto, dal saperlo garantire». Gli uccelli sono i vertebrati terrestri più conosciuti, eppure è emerso quanto “inadeguata” sia larga parte della documentazione fornita per valutare gli impatti di piani e progetti realizzati nelle aree naturalisticamente più importanti d’Italia. «La difformità di questi documenti è possibile per l’inadeguatezza del personale delle amministrazioni pubbliche chiamato a valutare i documenti per tutelare habitat e specie di importanza europea. Inoltre la mancata trasparenza, dovuta alla non pubblicazione sui siti web di tutti i documenti relativi ai procedimenti di Via e Vinca, impedisce anche il controllo civico. Legambiente – conclude Morabito – per tutelare il capitale naturale, patrimonio di tutti, denuncerà tutte le amministrazioni pubbliche inadempienti».

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