Tutti come Scrat

Scrat
Avete presente la scena della ghianda nel quarto episodio del cartoon L’era glaciale? Quella in cui lo scoiattolo Scrat, tentando di piantare sul terreno quel minuscolo frutto, provoca una crepa nel ghiaccio che diventa una voragine e infine produce la deriva dei continenti? Ecco. Il quesito superstite alla neutralizzazione di Renzi può diventare qualcosa di simile: una fessura nella quale insinuarsi per ottenere un effetto dirompente. Parliamo del referendum sulle trivelle, quello che ci porterà alle urne domenica 17 aprile, senza la proroga del lunedì (come avvenne, per esempio, nel 2011). Vale a dire fra poche settimane, con la Pasqua di mezzo, mentre sui giornali si parla di tutt’altro: il conflitto interno al Pd, le amministrative ormai alle porte nelle tre principali città d’Italia, l’ipotesi angosciante di un intervento militare sull’altra sponda del Mediterraneo. Poi c’è la consultazione convocata ad arte con il minimo dei 45 giorni previsti dalla normativa dopo che la Legge di Stabilità, prima di Natale, aveva accolto larga parte delle istanze avanzate dai promotori (nove Regioni sostenute da un ampio cartello di organizzazioni sociali) ripristinando fra l’altro il limite delle 12 miglia per le prospezioni in mare. Come dire: la battaglia contro la piattaforma di Ombrina mare, a poche bracciate dalle spiagge abruzzesi, che aveva portato durante gli ultimi due anni decine di migliaia di persone in piazza, dalla sinistra radicale ai vescovi, può considerarsi vinta. E la mobilitazione, qui come altrove, si può sciogliere.

Se non fosse che alla verifica della Corte Costituzionale, che ha vagliato dopo Capodanno l’ammissibilità dei testi prodotti dal fronte referendario, è sopravvissuto appunto un quesito fra i sei presentati a ottobre: quello sulla durata delle concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti all’interno delle fatidiche 12 miglia (come se oltre questo limite ci fosse un muro nell’equilibrio degli ecosistemi) che sempre la Legge di Stabilità permette di prolungare all’infinito nel tempo, al di là di quanto stabilito sui contratti che le compagnie siglano con lo Stato, finché ci sono idrocarburi da portare in superficie e con la tempistica più conveniente. È la crepa di cui dicevamo all’inizio. Uno spiraglio nel quale piantare la ghianda di una visione dell’economia che prescinde – perché questo insegna la modernità – dalle fonti fossili. Una fenditura nella quale inserire il cuneo di una campagna che senza questo referendum non si praticherebbe, una finestra di notiziabilità, se vogliamo guardarla dal punto di vista mediatico, da sfruttare perché nell’opinione pubblica italiana avanzi l’idea che la miglior convivenza è quella che si basa sulle rinnovabili.

Vedremo fra cinque settimane se le urne confermeranno la maturazione nel nostro paese di un’area che ha compreso come l’efficienza, il recupero di materia, la condivisione di strumenti e risorse, la circolarità dei processi produttivi rappresentano l’unica via per arginare il riscaldamento globale, vivere in maniera più sana. E disinnescare le ragioni di tanti conflitti, dalle Guerre del Golfo alla Siria, dove pure lo sfruttamento del greggio sotto i fondali non è estraneo alle tragedie degli ultimi anni. È vero, intorno alla mezzanotte del 17 aprile, quando avremo i primi risultati, ci tremeranno i polsi: centrare il quorum senza Election Day richiede una grande profusione d’intenti. Ma intanto la ghianda è piantata, la crepa avanza. Tutti come Scrat: spieghiamo che dare un taglio al petrolio significa portare l’Italia avanti nella storia, raccontiamo che l’economia a basso tenore di carbonio rappresenta già oggi una parte sostanziale delle nostre vite. La parete ghiacciata della old economy si sta aprendo.

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