Il Mediterraneo è popolato dagli scheletri di 38 mostri di metallo, passati a miglior vita da quando si è esaurita la linfa vitale che traevano da 121 pozzi scavati sul fondale. Questa selva di piattaforme petrolifere infesta da decenni l’Adriatico, lo Ionio e il Canale di Sicilia. La scorsa estate Legambiente ha lanciato la campagna #Dismettiamole, tesa a riaffermare l’urgenza di “un nuovo modello energetico pulito, rinnovabile e democratico, che faccia gli interessi dei cittadini italiani e non delle compagnie petrolifere”. L’obiettivo è sollecitare le istituzioni affinché richiedano alle imprese di ripulire il mare da queste strutture e chiudere i pozzi. Questi ultimi, spiegano gli ambientalisti, “hanno ormai terminato la loro attività produttiva o erogano talmente poco da far supporre che le compagnie stiano semplicemente ritardando la loro chiusura formale e, di conseguenza, l’obbligo e gli oneri di smantellamento e ripristino iniziale dei luoghi, come previsto dalla normativa”.
Appelli e richieste sono finora rimaste senza risposte da parte delle istituzioni, a cominciare dal governo, anche se qualcosa, almeno informalmente, comincia a muoversi in Parlamento. Una nuova spinta in questa direzione è arrivata nel marzo scorso, quando Legambiente, Greenpeace e Wwf hanno inviato una lettera aperta al presidente del Consiglio, ai ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente e ai governatori delle Regioni promotrici del referendum del 17 aprile 2016. All’esecutivo le associazioni chiedono di chiarire quale strategia intenda seguire l’Italia dopo l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. L’appello ai governatori, invece, riguarda “la conferma dell’impegno sul tema della difesa dei mari italiani, sollecitando il ripristino del piano delle aree come strumento di monitoraggio e verifica della pressione ambientale sugli ecosistemi marini”.
A fine febbraio, una richiesta analoga è stata avanzata in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati dal Coordinamento No Triv, promotore di un appello firmato da 148 associazioni e 135 personalità. Pochi giorni dopo, il Consiglio regionale della Basilicata ha votato all’unanimità una mozione che impegna la giunta e il presidente dell’assemblea a promuovere un’iniziativa legislativa delle Regioni volta a reintrodurre il piano delle aree nel nostro ordinamento.
Piattaforme da dismettere
