Dobbiamo agire adesso per garantire che il riscaldamento globale rimanga sotto gli 1,5 gradi prefissati con l’accordo di Parigi. Bisogna quindi ridurre le emissioni del 40% fino al 2030, per poi azzerarle prima del 2050. È questo il quadro che emerge dall’ultimo rapporto dell’Ipcc e che interessa tutti i settori, compreso quello agricolo.
L’agricoltura oltre a essere il settore che è maggiormente suscettibile ai cambiamenti climatici, è una fonte importante di gas climalteranti, in particolare metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), rispettivamente più impattanti 34 e 298 volte rispetto all’anidride carbonica (CO2) sul cambiamento climatico. In Italia è il secondo contribuente alle emissioni totali di gas serra dopo il settore energetico, con una quota pari a circa il 6,6% del totale. Eppure la proposta del Piano nazionale energia e clima (Pnec) presentata a dicembre dal governo italiano, pur rispondendo ai requisiti minimi previsti dalla Strategia di lungo termine varata dalla Commissione europea con l’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette entro il 2050, non risulta ancora compatibile con la soglia critica di 1,5 °C. Non prevede un obiettivo complessivo di riduzione delle emissioni al 2030, ma solo per i settori non-ets (emission trading system).
Rispetto al ruolo che può giocare l’agricoltura, la proposta di Piano rimanda alla definizione di altre politiche di settore – la Pac e il Piano di sviluppo rurale – riconfermando in sostanza degli obiettivi al 2030 in linea con l’andamento delle misure esistenti, quindi sottostimando il contributo dell’agricoltura. Per raggiungere zero emissioni nette sarà necessario aumentare le azioni di ripristino degli ecosistemi, interventi di gestione dei suoli agrari e degli allevamenti che puntino a maggiore efficienza e sostenibilità. Così si otterrà il mantenimento dei livelli di produzione e, al contempo, una diminuzione dei costi ambientali ed economici.
Articolo tratto dal mensile La Nuova Ecologia marzo 2019