Il Paese è all’avanguardia, il Palazzo no

immagine di plastica da riciclare stoccata in un'azienda

di Daniele Di Stefano

Si fa presto a dire economia circolare. Perché negli ultimi anni scienza e tecnologia ci hanno abituato, anche per l’economia circolare, a scoperte e innovazioni stupefacenti se misurate col metro di qualche decennio fa: oggi siamo in grado di ricavare materie prime da tipologie di rifiuti sempre più diverse e numerose. Si fa presto a dire economia circolare, ma non dobbiamo dimenticare che in questo cammino verso il futuro c’è un altro fattore determinante: la capacità dei sistemi normativi di tenere dietro all’innovazione tecnologica e ai progressi delle imprese. Oggi può succedere che un’azienda che fa economia circolare veda poi i propri prodotti classificati ancora come rifiuti: un esempio per tutti è l’avanguardistico impianto per il riciclo di pannolini inaugurato a Lovadina di Spresiano (Treviso) da Fater e Contarina. Perché questo non accada la legislazione, che deve certamente tutelarci dagli abusi, deve essere anche in grado di leggere la transizione da rifiuto a materia prima. E chiarire in quali condizioni uno scarto cessa di essere tale.

 In Europa queste condizioni (end-of-waste, fine della qualifica di rifiuto) sono stabilite dalla direttiva quadro sui rifiuti: è necessario che la materia nata dal rifiuto soddisfi criteri specifici, primo tra tutti non avere impatti negativi sull’ambiente o sulla salute. Per ogni tipologia di rifiuto che diventa materia prima è previsto un regolamento europeo end-of-waste che chiarisca tutti questi requisiti. Fino ad oggi l’Europa non è stata molto prolifica di regolamenti end-of-waste: sono infatti vigenti solo il regolamento sui rottami metallici (ferro, acciaio e alluminio, dal 2011), quello sui rottami di vetro (2012) e quello sui rottami di rame (2014). Non certo una produzione normativa all’altezza della sfida e dell’impegno che l’Unione sta mettendo nell’economia circolare. «Questo – spiega Emmanuela Pettinao della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – perché la procedura messa in piedi con la direttiva quadro è un po’ lunga e un po’ troppo burocratica». In mancanza di specifici regolamenti europei, però, la direttiva quadro ha dato anche ai singoli Stati la possibilità di regolamentare il passaggio rifiuto-materia prima. «Ogni Paese – riprende Pettinao – si è mosso per conto proprio: ognuno ha scelto di normare dei flussi di materiali ritenuti importanti per sviluppare il proprio mercato interno». E l’Italia? «È stata un po’ lenta», sintetizza. Il nostro Paese ha all’attivo un solo decreto end-of-waste: quello sul combustibile solido secondario (Css, il combustibile derivato dalla lavorazione dei rifiuti urbani), vigente dal 2013. Da allora più niente fino alla fine dell’anno scorso, quando sono stati inviati a Bruxelles per osservazioni i decreti sul fresato d’asfalto e sulla gomma derivante da pneumatici fuori uso (Pfu). Oltre a questi due decreti al ministero dell’Ambiente, con un’indubbia accelerazione negli ultimi mesi, sono in gestazione decreti su pannolini, piombo delle batterie per auto, rifiuti da demolizione e costruzione, vetroresina. Ma non è prevedibile quando verranno pubblicati.

«Il numero di decreti approvati in Italia – dice il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – dà la dimensione dell’incapacità delle istituzioni di far fronte alle necessità del Paese e di cogliere le opportunità che oggi il Paese stesso ha costruito. In queste condizioni ci sono grandi quantità di rifiuti che potremmo sfruttare ma di cui rischiamo invece di non poter far nulla perché non c’è il decreto end-of-waste per i pannolini o per il fresato d’asfalto, o ancora quello per i rifiuti di costruzione. Tutti materiali che non sono facilmente collocabili sul mercato del riciclo perché manca il coraggio di semplificare laddove necessario, così come si fa tranquillamente in altri Paesi europei». Sergio Cristofanelli della direzione generale Rifiuti del ministero dell’Ambiente ammette che «i decreti end-of-waste sono pochi, infatti noi stiamo spingendo molto su questo tema. Potevamo fare di più, certo, ma diciamo anche che il ministero si attiva sulla base delle esigenze che ci arrivano dal mondo produttivo. Poi bisogna dire – continua – che quando si fa una cosa come questa per la prima volta si deve trovare la via procedurale giusta, ma una volta aperta la pista poi è più facile ripercorrerla: Pfu e fresato d’asfalto sono stati per noi degli apripista, ora riusciremo a fare le cose con più agilità».

Il paradosso è che i ritardi descritti contrastano col fatto che oggi in Europa l’Italia è fra i Paesi più avanzati nell’economia circolare. Fra gli indicatori pubblicati dall’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione, nella sezione sul suo sito web dedicata all’economia circolare, uno è particolarmente rilevante: il tasso di impiego di materia “circolare” (materia prima seconda, frutto quindi di riciclo). Seppure in altri indicatori mostri performance meno brillanti, l’Italia ha la quota di materia “circolare” impiegata dal sistema produttivo più alta (18,5%) fra le grandi economie continentali (Francia 17,8%, Gran Bretagna 14,9%, Germania 10,7%, Spagna 7,7%). Da questo punto di vista l’Italia, dopo l’Olanda (26,7%), è il secondo Paese più “circolare” di tutta l’Unione. Dietro questi risultati, spiega ancora Ciafani, ci sono ragioni storiche: «Siamo un Paese da sempre carente di materie prime e per questo da sempre abituato a minimizzare i rifiuti di origine produttiva e massimizzarne il recupero: è la nostra tradizione industriale. A questa tradizione, che non si è mai interrotta, si è aggiunto negli ultimi anni l’aumento del quantitativo di rifiuti urbani riciclati». E viene naturale chiedersi quanto potrebbero essere alti i tassi di impiego di materia prima seconda in Italia se la politica e la burocrazia fossero più allineate con la società.

Per spiegare come questi ottimi risultati nazionali possano convivere col quadro normativo tracciato bisogna però ricordare che nella normativa italiana c’è un decreto (il decreto ministeriale 5 febbraio 1998 sui rifiuti recuperabili) che specifica appunto le caratteristiche dei materiali riciclabili (dai rifiuti di carta a quelli di vetro, dai metalli alle plastiche, ai rifiuti ceramici, alla concia al legno): un testo talmente dettagliato da essere considerato dall’Ue – benché antecedente alla direttiva quadro e allo stesso concetto end-of-waste – al pari di un regolamento end-of-waste. «Una sorta di end-of-waste ante litteram», chiarisce Duccio Banchi di Ambiente Italia, altra voce di grande autorevolezza sui rifiuti. Di fatto un primato normativo che va ad affiancare i primati produttivi. Col solo non irrilevante limite dei progressi tecnologici avvenuti in questi anni e che ovviamente non erano prevedibili nel ‘98.

Nel frattempo l’Europa fa nuovi passi avanti. Le proposte della Commissione contenute nel pacchetto sull’economia circolare sono state emendate da Parlamento e Consiglio e nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2017 è stato raggiunto un accordo: realisticamente potremmo avere una nuova direttiva quadro sui rifiuti entro il prossimo mese. Ma quali sono le principali novità? Le ha illustrate la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Vengono innalzati gli obiettivi di riciclo dei rifiuti urbani: 55% nel 2025, 60% nel 2030 e 65% nel 2035, oggi siamo al 42%. Nel riciclo dei prodotti viene rafforzata la responsabilità estesa del produttore: gli Stati membri dovranno adottare misure che incoraggino i produttori a migliorare l’efficienza dell’utilizzo delle risorse e lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti e materiali adatti all’uso multiplo, durevoli e riparabili. Lo smaltimento in discarica non dovrà superare il 10% dei rifiuti urbani prodotti. Vengono introdotti target di riduzione degli sprechi alimentari del 30% al 2025 e del 50% al 2030. Viene introdotto l’obbligo di adottare strumenti economici per rafforzare la gerarchia dei rifiuti (prevenzione, recupero, riciclo, e solo come extrema ratio lo smaltimento) e viene proposta una lista di misure, dalla tassa su discariche e incenerimento alla tariffa puntuale. Anche l’end-of-waste avrà delle novità: verranno rese meno burocratiche le procedure e agevolato il compito di garantire il rispetto dei requisiti richiesti, riconoscendo maggiore iniziativa ai singoli Paesi.

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