Come influiscono i cambiamenti climatici sugli oceani

L'immagine di un oceano

di Emanuela Dattolo

L’atmosfera terrestre contiene fino al 21% in volume di ossigeno, prodotto e rigenerato continuamente dalla fotosintesi. Con poche eccezioni, questo gas è fondamentale per sostenere i processi energetici dalla maggior parte degli animali della biosfera. Metà dell’ossigeno contenuto nell’atmosfera è prodotto dalle piante e dal fitoplancton che vivono nell’oceano, eppure la quantità di ossigeno che si trova disciolto in acqua è molto minore di quella che si misura nell’aria, e non è distribuito uniformemente a tutte le profondità.

La sua concentrazione è maggiore nello strato d’acqua superficiale, dove la ventilazione favorisce lo scambio di gas tra aria e acqua; al di sotto di questo strato di acqua rimescolata, la concentrazione di ossigeno si abbassa notevolmente, consumato dalla respirazione dei miliardi di animali e batteri che vivono nella colonna d’acqua. Nel corso del XX secolo si è osservato un aumento di aree oceaniche povere d’ossigeno a causa della “deossigenazione”, ovvero la diminuzione della quantità di questo gas disciolta nell’oceano dovuta ai cambiamenti climatici di origine antropica. Con l’aumento della temperatura atmosferica, infatti, dell’oceano si scalda di più e di conseguenza trattiene una minore quantità di ossigeno; ma questo riscaldamento degli strati d’acqua superficiali comporta anche un rallentamento della velocità con cui l’ossigeno si distribuisce in profondità. Questo perché la differenza di temperatura e densità fra gli strati d’acqua superficiali (caldi e meno densi) e quelli profondi (freddi e più densi) ostacola il rimescolamento delle masse d’acqua e fa aumentare la stratificazione delle masse oceaniche.

A sua volta, l’aumento della stratificazione lungo la colonna d’acqua rallenta l’upwelling, ovvero la risalita dalle profondità del mare di grandi masse di acqua fredda e ricca di nutrienti, che rimpiazza l’acqua superficiale impoverita delle sostanze nutrienti utilizzate dagli organismi fotosintetici. L’acqua arricchita di nutrienti nelle regioni di upwelling sostiene una crescita del fitoplancton talmente grande che, sebbene le zone di upwelling occupino solo il 5% dell’intera superficie oceanica, da esse dipende il 25% di tutto il pescato marino mondiale. Se diminuiscono queste aree, di conseguenza diminuisce anche l’ossigeno rilasciato dalla fotosintesi del fitoplancton, come le specie animali che da esso dipendono. Quando la concentrazione di ossigeno disciolto si abbassa fino a raggiungere valori inferiori del 70-90% rispetto alle acque dello strato superficiale, un’area dell’oceano viene definita “subossica” e infine “anossica” se l’acqua diventa inadatta a supportare la vita degli organismi aerobici. Secondo il Quinto Rapporto di valutazione dell’Ipcc, nel corso del XXI secolo la diminuzione della concentrazione dell’ossigeno sarà tale da comportare un aumento del 10% del volume totale delle aree anossiche dell’oceano.

L’espansione delle aree a bassissima concentrazione di ossigeno (ipossiche) è stata osservata in tutti i bacini, da quelli tropicali e subtropicali, fino a tutto il Pacifico subantartico. La deossigenazione è un fenomeno particolarmente grave negli strati d’acqua che si estendono a una profondità fra i 100 e i 1.000 metri. Sebbene infatti queste aree rappresentano solo l’8% della superficie oceanica totale, sostengono la produzione primaria di fitoplancton e di conseguenza di tutta la produzione di pesce. Per esempio, si stima che dal 1960 le aree ipossiche a livello oceanico siano aumentate di circa 4,5 milioni di km2, arrivando ad estendersi tra i 200 e i 700 metri di profondità, mentre altri studi hanno evidenziato che, al largo della California, negli ultimi 25 anni si è avuta una perdita del 20-30% del contenuto di ossigeno negli strati d’acqua tra i 200 e i 300 metri di profondità. Questi cambiamenti nei cicli biogeochimici dell’ossigeno e nella composizione chimica delle masse d’acqua producono profondi effetti sulla distribuzione e sulla composizione degli habitat degli organismi marini.

Alcune specie, come le meduse e i calamari, sono altamente tolleranti alla riduzione di ossigeno, mentre altre, come pesci e crostacei, sono molto più vulnerabili alla deossigenazione, perché richiedono livelli più elevati di ossigeno per sostenere le loro funzioni metaboliche. Questa vulnerabilità è stata già osservata in molti sistemi, ad esempio al largo delle coste dell’Oregon e nel Golfo del Messico, dove si sono verificate eventi di morte massiva di pesci e crostacei durante periodi in cui le acque avevano una minore concentrazione di ossigeno. Mentre i merluzzi del Pacifico, a causa della perdita di ossigeno delle acque dello strato medio-profondo di fronte alle coste giapponesi, hanno ristretto la loro area di distribuzione in acque più superficiali. Sorte simile è toccata ai tonni e ai marlin blu, che nel periodo 1960-2010 hanno ridotto del 15% il loro habitat di distribuzione lungo la colonna d’acqua nell’Atlantico tropicale.

Tutti questi cambiamenti nella distribuzione delle specie ittiche si ripercuotono anche sulla sicurezza alimentare delle popolazioni più povere, che fanno affidamento sulla pesca per il proprio sostentamento, nonché sulla resa della pesca delle specie ad alto valore commerciale che impatta sull’economia dei Paesi da essa dipendenti. Come spesso accade in natura, un cambiamento nelle condizioni ambientali è un problema per qualcuno, ma può diventare un’opportunità per qualcun altro: il calamaro di Huboldt, per esempio, che vive a profondità di 200700 metri nelle acque di fronte al Sud America, è avvistato sempre più spesso anche in acque molto più superficiali. L’espansione del suo habitat sembra coincidere con le aree di mare in cui si sono verificate riduzioni significative di ossigeno disciolto. Al di là del destino delle singole specie, la deossigenazione degli oceani sta influenzando molto l’equilibrio di tutti mari del mondo. Per questo motivo, il fenomeno avrà conseguenze che impatteranno l’intero ecosistema marino, diminuendone stabilità e resistenza. Il problema si può mitigare con soluzioni a livello locale come i programmi di pesca sostenibile e di salvaguardia delle specie più vulnerabili alla riduzione di ossigeno. Ma l’unica vera soluzione alla deossigenazione degli oceani è la riduzione delle emissioni di CO2.

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