C’è un grafico che nella sua semplicità spiega cosa ci si deve attendere sul fronte delle politiche ambientali dal nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Lo ha pubblicato nei giorni scorsi una società di consulenza indipendente, la Lux research (www.luxresearch.com), specializzata in innovazione tecnologica, con sedi dagli Usa al Giappone: le emissioni di Co2 dell’economia americana sono destinate a crescere del 16% nei prossimi 8 anni, immaginando che Trump regga la Casa Bianca per due mandati. In valori assoluti, si tratta di 3,4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in più destinate a finire nell’atmosfera. Se avesse prevalso la Clinton, le emissioni avrebbero, invece, continuato a scendere.
Quasi cancellata dai tre dibattiti pre-elettorali tra Clinton e Trump, (come ricorda Alessandro Martorana in una puntuale analisi pubblicata il 7 novembre dal quotidiano on line International business time) con appena tre citazioni di sfuggita e tutte della Clinton, la questione cruciale dei cambiamenti climatici è destinata ad “oscurare” rapidamente altre polemiche di maggior “successo” mediatico, come quelle sulle tasse non pagate o sulle battute sessiste del neo presidente Usa.
Trump, che fino al 2014 definiva pubblicamente il climate change come una “costosa bufala”, ha promesso in campagna elettorale di ritirare gli impegni assunti da Obama con la Cop 21 di Parigi sulle riduzioni di gas serra; ha annunciato la fine della moratoria per le estrazioni di carbone negli Usa; ha fortemente criticato gli incentivi alle rinnovabili e i “vincoli” che impediscono lo sfruttamento più massiccio del gas e di altre “risorse energetiche americane”, come il petrolio. Non bastasse, l’ex tycoon ha definito una “disgrazia” l’Epa (l’Agenzia federale per la protezione dell’ambiente) minacciandone la chiusura.
Non ha giovato, in questo scenario abbastanza inquietante per il futuro delle politiche ambientali negli Usa e su scala globale, la “timidezza” con cui la Clinton ha trattato differenze così profonde con il suo antagonista repubblicano. Maliziosamente si potrebbe ricordare il forte sostegno economico delle lobby petrolifere alla candidata democratica, ma è un dato di fatto che ambiente e climate change sono rimasti lontanissimi dai riflettori di questa lunga e aspra campagna elettorale.
Le speranze concretamente accese da Obama, decisivo per la buona riuscita della Cop 21 di Parigi, rischiano di naufragare nell’era Trump. E si dovrà verificare con grande attenzione quanto accadrà in questi giorni durante i lavori della Cop 22 di Marrakech, soprattutto per quanto riguarda le risorse indispensabili per dare concretezza alla riduzione delle emissioni e alle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici. Una delle minacce lanciate da Trump nei mesi scorsi, infatti, è stata quella di azzerare tutti i finanziamenti in materia destinati ai programmi dell’Onu.
Merita una riflessione, infine, quanto è accaduto in pochi mesi da Londra a New York, nella culla storica e ideologica del liberismo economico, del turbo capitalismo e della globalizzazione senza freni: di fronte alla crisi di un sistema che hanno sostanzialmente costruito e imposto come pensiero, inglesi e americani “girano le spalle al mondo”, in nome di un neo-protezionismo che fa paura. Una ragione in più per rivendicare e promuovere un’economia nuova, civile, ecologica e solidale, come quella che sta animando le giornate di Ecomondo a Rimini. Piccoli segnali, sicuramente, se confrontati con quanto è accaduto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Ma non saranno certo Trump e la Brexit a costruire un futuro desiderabile per tutti.
Negli Usa di Trump
l’ambiente vede nero
