Monte Rosa da mangiare

immagine di un orto sul Monte Rosa

L’orto di Paysage à manger è un balcone sui ghiacci del Monte Rosa. Siamo a Gressoney Saint Jean, in Valle d’Aosta. Poco lontano, tra gli alberi, spunta il castello Savoia, dove a inizio Novecento trascorreva le sue estati la regina Margherita, innamorata di questi luoghi e di questo panorama. Non a caso, i fondatori di Paysage à manger, che in francese significa “paesaggio da mangiare”, hanno scelto questo posto per la coltivazione e la vendita dei loro prodotti di agricoltura montana, in particolare molte varietà antiche di patate. «Il paesaggio è il risultato dell’interazione tra uomo e natura e, senza l’intervento umano – dicono – le nostre Alpi non sarebbero così belle».

Federico Chierico è l’anima di Paysage à manger, assieme a Federico Rial e ad altri tre soci. Racconta: «Sono nato e cresciuto in città, a Biella. Ho iniziato a lavorare come fisioterapista e ho capito subito che non era la mia strada. A 26 anni ho lasciato un posto a tempo indeterminato per seguire il mio viscerale attaccamento alla montagna, una roba da pazzi». Chierico torna all’università per approfondire quel legame profondo con le terre alte, nato dalle lunghe estati passate con la nonna in Val d’Ayas, la valle parallela a quella di Gressoney, dove si è trasferito ormai da dieci anni.

«Abbiamo l’idea che la montagna vada bene solo per andare in vacanza, mentre per la vita vera c’è la pianura – continua – per me non era così, io volevo abitarci stabilmente». In realtà, l’impresa di coltivare la terra, quattro anni fa, nasce quasi per gioco ma è forse proprio per questo che gli ideatori si permettono di sperimentare qualcosa di totalmente nuovo e originale: è un azzardo che funziona. Puntano sulle varietà antiche di patate, di legumi e di ortaggi, entrando nella rete della fondazione svizzera Pro specie rara.

Nata nel 1982, la fondazione è oggi un importante punto di riferimento a livello mondiale per la conservazione della biodiversità agricola. Non si tratta solamente di conservare i semi, ma di far vivere questo patrimonio tramandato dal mondo contadino, il sapere sviluppato prima dell’introduzione degli agrofarmaci e delle sementi ibride a metà del Novecento. Gli oltre duemila enti privati e pubblici che aderiscono a Pro specie rara, infatti, sono impegnati attivamente nella coltivazione di ortaggi, cereali, alberi da frutto e piante ornamentali, oltre che nell’allevamento di animali a rischio di estinzione.

«Collaborando con la fondazione, abbiamo capito che la biodiversità non è un valore astratto e si conserva davvero solo portandola a tavola. La diversità biologica in agricoltura ha in sé saperi e sapori, ricette e tradizioni», dice Federico. All’inizio sembrava che in Valle d’Aosta non fosse più possibile reperire sementi antiche autoctone. Poi, in un villaggio di una sperduta valletta laterale, mentre si trovava a casa di un’anziana signora a prendere le castagne, Federico ha trovato fagioli mai visti al supermercato, di colore viola, un tempo diffusi in tutto l’arco alpino.

«Rina, che cosa sono questi?», le ha chiesto.

Da lì è iniziata una scoperta lenta e affascinante di semi nascosti, rari e conservati come reliquie, soprattutto nelle case delle donne anziane non sposate, ultime depositarie della memoria di un mondo perduto. Pian piano si è sparsa la voce, così i ragazzi di Paysage à manger sono diventati un punto di riferimento in Valle d’Aosta per la raccolta di sementi antiche. Un tempo i semi erano così preziosi che si tramandavano nei corredi di nozze. Rappresentavano una ricchezza di famiglia, erano stati selezionati per adattarsi a quella particolare terra, ne avevano assunto un gusto particolare.

Per le patate, prodotto di eccellenza della montagna, la ricerca è più difficile: il tubero va seminato di anno in anno perché si conservi, altrimenti si degrada e non è più utilizzabile. È grazie al patrimonio conservato da Pro specie rara se oggi i soci di Paysage à manger coltivano un ettaro e mezzo di terra con ben 55 varietà diverse di patate. Hanno un gusto speciale grazie all’escursione termica tra il giorno e la notte, più accentuata che in pianura. Oltre i 900 metri di altitudine, inoltre, non c’è bisogno di fare trattamenti contro la dorifora, insetto che attacca prevalentemente le patate.

Tra le varietà ritrovate, una è tradizionale della Valle d’Aosta: la patata di Verrayes, che prende il nome del borgo da cui provenivano quelle conservate da Pro specie rara. Ma si può dedurre che fosse coltivata in molte altre località valdostane. Ha colore rosso-violaceo, una forma irregolare e spigolosa, pasta gialla, talvolta con screziature rosso intenso.

Più di recente Paysage à manger ha reintrodotto la coltivazione di alcune varietà della tradizione walser, popolazioni germaniche che colonizzarono le vallate attorno al Monte Rosa nei secoli scorsi e che conservano nella Valle di Gressoney tracce del loro passaggio nell’architettura, nell’antica lingua, il titsch, e nei costumi tradizionali.

«Tutti i nostri prodotti sono molto particolari, ciascuno con una storia da raccontare, – commenta Federico – Chi vuole fare agricoltura in montagna, per poter stare sul mercato deve puntare sulla qualità. Non possiamo proporre quello che si trova anche al supermercato, perché non siamo competitivi sul prezzo. Per noi tutto è molto più complicato: gli appezzamenti sono piccoli, a volte difficili da raggiungere, lontani uno dall’altro».

La terra coltivabile sulle Alpi è un bene scarso. I campi di Paysage à manger sono disseminati in tutta la Valle di Gressoney, a partire dalla parte bassa, dagli antichi terrazzamenti recuperati tra Pont Saint Martin e Fontainemore, e poi nella parte alta, in direzione del Monte Rosa, dove il fondovalle si allarga assumendo la caratteristica forma a U dovuta all’azione modellatrice dei ghiacci.

Dal 2017 Paysage à manger è diventato un lavoro a tempo pieno per due persone. Anche Federico Rial, gressonaro, dopo una laurea in Ingegneria a Torino ha scelto di scommettere su quest’avventura e tornare a vivere a casa sua. «Il nostro progetto funziona perché i turisti sono sempre più curiosi, vogliono conoscere i prodotti locali e chi li coltiva. Per questo sono disposti a spendere – conclude Chierico, tra una chiacchierata e l’altra con i clienti al punto vendita – Allo stesso tempo ci rivolgiamo anche agli abitanti della valle, preparando cassette settimanali che consegniamo a domicilio, perché crediamo nell’importanza di produrre cibo buono di prossimità».

E in autunno, con la prima gelata, quando in orto non si può produrre più a queste quote, i due soci iniziano a viaggiare portando in giro le loro patate nelle fiere specializzate del Nord Italia, facendo conoscere gli antichi sapori che rinascono sulle Alpi.

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