Ecoreati, il giorno della svolta

di Enrico Fontana*

Enrico FontanaCapita, a volte, che la casualità degli eventi finisca per assumere un profondo valore simbolico. È sicuramente un caso che il Senato abbia approvato l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel Codice penale martedì 19 maggio. E che tre giorni dopo, venerdì 22, sia stata consegnata alla figlia di Roberto Mancini, Alessia, la medaglia d’oro al valore civile assegnata al papà. Ma per me, che conosco bene, avendole vissute, le vicende che quasi saldano insieme questi due eventi, è come se la storia avesse voluto darci un segnale chiaro: giustizia, finalmente, è fatta. Per il popolo inquinato, che ha atteso ventuno anni una riforma di civiltà. E per il mio amico Roberto, che ha dedicato alla lotta all’ecomafia tanti anni del suo impegno professionale in Polizia, fino ad ammalarsi e a pagare con la vita l’inerzia delle istituzioni, i silenzi, le complicità, le connivenze e le convenienze di troppi.

Quando con Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, ci siamo abbracciati subito dopo il voto finale, nel piccolo corridoio da cui si accede, a Palazzo Madama, alle tribune destinate al pubblico, non si è sciolta soltanto la tensione accumulata giorno dopo giorno in questi ultimi due mesi di battaglia. In pochi secondi mi è “esplosa” dentro la gioia di una vittoria troppe volte afferrata e sfuggita. Confesso che avrei voluto ballare, cosa che poi abbiamo fatto con tante amiche e amici a piazza Navona. E che mi sono trattenuto a stento, per il rispetto dell’istituzione che ci ospitava. Ma la consapevolezza di aver contribuito a rendere davvero l’Italia un paese più civile mi è cresciuta dentro, ha “occupato” quasi tutti i pensieri e ci rimarrà a lungo.

Ecogiustizia è fatta

Dobbiamo davvero tutti essere felici e orgogliosi del nostro lavoro, noi legambientini permanenti. Perché è vero che il risultato finale, con i delitti ambientali che diventano legge, è frutto dell’impegno e della generosità di tanti: rappresentanti delle forze dell’ordine, prefetti e magistrati, amici di altre associazioni, giornalisti e avvocati, ministri e parlamentari. Ma senza Legambiente, senza il lavoro cominciato nel 1994 con l’Osservatorio Ambiente e legalità, senza la cocciutaggine di chi ogni anno lavorava perché venisse pubblicato e comunicato il Rapporto Ecomafia, perché si potesse dire, numeri e fatti alla mano, che in Italia c’era bisogno di rafforzare la tutela penale dell’ambiente, a quelle fatidiche ore 19.50 del 19 maggio 2015, a quei 170 pallini verdi sul tabellone elettronico che registra le votazioni del Senato, il nostro paese non ci sarebbe arrivato mai.

Anche ventuno anni fa il caso, ammesso che esista davvero, ha giocato la sua parte. Non avessi trovato, sugli scaffali polverosi della sede di Legambiente Campania, l’ordinanza di rinvio a giudizio della cosiddetta “Operazione Adelphi”, la prima grande indagine della procura distrettuale antimafia di Napoli su camorra e rifiuti, probabilmente non avrei cominciato a lavorare prima sulla “Rifiuti spa” (l’intreccio perverso fra pseudo-imprenditori, politici corrotti, affiliati alla massoneria e al clan dei Casalesi) e poi su quella ricerca che terrà a battesimo il termine “ecomafia”, fatta insieme all’Arma dei carabinieri e all’Eurispes (altra “coincidenza” quasi irripetibile). “Nessi casuali”, “connessioni imprevedibili”, come quelle che ci porteranno a lavorare con ricercatori che sfruttano la geofisica per svelare discariche abusive di rifiuti o studiano le relazioni fra gli smaltimenti illegali di veleni, le patologie tumorali e leucemiche. Oppure con ufficiali dell’Arma dei carabinieri e del Corpo forestale dello Stato, che con le loro inchieste hanno dato concretezza, con decine e decine di ordinanze di custodia cautelare, all’unico delitto strappato nel 2001 all’inerzia, verrebbe quasi da dire all’inettitudine, del Parlamento: l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti.

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Un’eccezione, perché è stata la sproporzione, lacerante, fra la gravità dei fatti e l’inefficacia delle sanzioni ad accompagnarci in questi ventuno anni d’impegno. Insieme all’indignazione, che non è mai venuta meno, per le troppe promesse, i troppi impegni mancati, le troppe parole cadute nel nulla: penso alle relazioni approvate dalle commissioni parlamentari d’inchiesta sul Ciclo dei rifiuti, a partire dal 1995; al disegno di legge del 1999, che già prevedeva i delitti contro l’ambiente, approvato dal governo e inabissato in Parlamento; alla stessa sorte subita, otto anni dopo, dal secondo disegno di legge, anche questo varato dal Consiglio dei ministri e naufragato a Montecitorio.

Spesso mi è stato chiesto, da colleghi giornalisti, quali fossero le ragioni di questa incolmabile distanza fra le dichiarazioni di principio di chi ha avuto in questi lunghi anni responsabilità politiche e istituzionali e i risultati concreti. Non voglio fare dietrologie e non credo al “complottismo”: ci sono voluti molti anni per cambiare la cultura politica e per liberarla dalla sudditanza alle “sirene” di chi non ha mai creduto davvero nella classe dirigente, a cominciare dal mondo imprenditoriale, all’ambiente come unica, straordinaria ricchezza del paese in cui viviamo. È la nostra casa, quella in cui può crescere, concretamente, la speranza di una vita migliore per i nostri figli. Fino alle 19.50 del 19 maggio 2015 c’era chi poteva saccheggiarla impunemente, senza rischiare sostanzialmente nulla. Oggi non è più così. E non si può che esserne felici.

*Direttore di Libera, fondatore dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente

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