«Donna, nera, madre, figlia della favela del Maré», Marielle Franco si presentava con queste parole sul suo sito web. Là dove ora, sulla homepage, campeggia l’hashtag “#MarielleVive”. Freddata con cinque colpi di pistola, mercoledì sera scorso,14 marzo, a Rio de Janeiro. Con lei, è stato ucciso anche l’autista, Anderson Pedro Gomes. Nel centro della città, nell’orario in cui le persone tornano da lavoro e lei tornava da un incontro politico di donne afro-discendenti nel quartiere di Lapa. Una vera e propria esecuzione per colpire le sue battaglie di militante per i diritti umani, eletta nel Consiglio comunale di Rio con 46.502 voti, quinta fra le più votate nelle ultime elezioni amministrative, nelle fila del Partido Socialismo e Libertade(Psol). Morta a soli 38 anni.
E hanno colpito anche le battaglie per l’ambiente di Paulo Sérgio Almeida Nascimento, fra i dirigenti dell’associazione ambientalista Cainquirama. Ucciso nello stesso giorno, nel cuore della foresta pluviale dove aveva la sua abitazione. Una capanna, da cui era uscito di notte per recarsi nel bagno esterno. Nella città di Barcarena, nello Stato del Parà. Quello dove si stava battendo contro i danni ambientali arrecati dall’azienda mineraria norvegese Hydro. La fuoriuscita di fanghi rossi dalla diga dell’azienda estrattrice di bauxite aveva allagato alcuni quartieri della città a causa delle forti piogge. Analisi di laboratorio avevano confermato la contaminazione delle acque dei fiumi, fondamentali per l’alimentazione della popolazione. Tre proiettili hanno raggiunto Paulo Sérgio, morto a 47 anni.
«Un sorriso che non si può dimenticare», così ricorda Marielle il professore Massimo Canevacci, docente di Antropologia culturale all’Università La sapienza di Roma. Sottolineando il legame con l’assassinio dell’ambientalista Nascimento e facendo un quadro della situazione attuale in Brasile. «L’ipotesi più accreditata è che a Rio esista una sorta di cupola paramilitare e parapolitica che si chiama “milizia”: unisce elementi della polizia civile, ex poliziotti che stanno dentro il comando vermelho (commando rosso, la struttura criminale della droga), lo stesso comando vermelho ed elementi parapolitici e paramilitari di estrema destra. C’è proprio una strategia politico-militare che ha assunto e individuato Marielle come l’obiettivo, la persona che più poteva mettere in discussione un concetto di Stato autoritario che si sta riaffermando purtroppo in Brasile. Questo progetto sta individuando nella militarizzazione della società brasiliana un modello attraverso cui controllare soggetti, movimenti e anche partiti che rappresentano qualcosa di altro». Marielle rappresentava questo: la sua storia usciva dalle tradizioni di discriminazione, partendo dall’esperienza della favela, dell’essere una giovane sociologa, politica, afro-brasiliana, che di recente aveva intrapreso la convivenza con la propria compagna. E madre di una ragazza di 19 anni che ha risposto con forza al brutale assassinio: «Hanno ucciso mia madre e altri 46mila elettori! Continueremo la tua lotta! Ti amo».
«La storia di Marielle Franco è una storia assolutamente esemplare di un nuovo Brasile che stava e che sta avanzando. Un Brasile che è stato tradizionalmente emarginato dalle università e anche dalla politica ai massimi livelli», ha raccontato il professore Canevacci alla Nuova Ecologia. «Rappresentava la voglia di affermare un processo di liberazione, della sua gente, delle favelas e in generale di Rio de Janeiro». Tra le sue battaglie, infatti, la denuncia delle violenze dell’UPP, Unidade de Polícia Pacificadora. «Sono unità di polizia che avrebbero dovuto risolvere il problema del traffico della droga – ha spiegato il professore – pacificando le favelas di Rio, ma anche di San Paolo. Il risultato è stato catastrofico, a causa della mancanza di formazione e, in parte, della corruzione interna alla polizia civile, in particolare carioca. Marielle denunciava fortemente le forme di assassinio che questa struttura poliziesca esercitava nei confronti dei giovani neri nelle favelas. Omicidi continui per cui Marielle diceva: “Hanno cambiato il nome del mio quartiere. Non è più Maré, ma si chiama UPP”».
Quanto si sa delle storie di attivisti come Marielle Franco e Paulo Sérgio Almeida Nascimento, nel mondo? Poco, a volte nulla. Ma, all’indomani della loro tragica scomparsa, si comincia a parlare, a raccontare, a impegnarsi. In manifestazioni, dibattiti pubblici, sui social, tra i politici. Anche cantanti come Caetano Veloso e la più pop Katy Perry, hanno parlato di Marielle dal palco dei loro concerti, in questi giorni, ricordandola. Ma sono ancora tanti, troppi, gli attivisti morti nel silenzio. La Ong Global Witness, in collaborazione col Guardian, ha recentemente denunciato l’assassinio di 197 attivisti per la difesa della terra e dell’ambiente, nel 2017. Di questi, 46 solo in Brasile. «Tutte queste morti di militanti rappresentano una ferocia senza controllo», ha commentato Massimo Canevacci, che però lancia un messaggio di speranza, anche alla luce della mobilitazione popolare suscitata in tutto il mondo dalle tragiche vicende di questi giorni: «La solidarietà internazionale può sconfiggere un disegno criminoso».