L’ultimo incendio nella Terra dei fuochi

immagine di scavi alla ricerca di rifiuti pericolosi interrati

L’ultima scintilla dell’incendio che divampa da decenni, parliamo della gestione criminale dei rifiuti nella province di Napoli e Caserta, è l’inchiesta della procura napoletana su corruzione, traffico illecito e finanziamento illecito dei partiti che sta mettendo sulla graticola candidati di spicco alle prossime elezioni politiche. Un’indagine imperniata, ancora una volta, sulla gestione dei rifiuti, comprese le famose ecoballe, che continuerebbe a svolgersi come nella migliore delle tradizioni ecomafiose, proprio nel territorio denominato (non a caso) “Terra dei fuochi”. Per il momento gli inquirenti fanno riferimento solo a perquisizioni in corso, che hanno comunque coinvolto “pesci grossi”, da una parte il candidato di Fdi Luciano Passariello, dall’altro Roberto De Luca, attuale assessore del Comune di Salerno e figlio del governatore campano. In totale sono sette gli indagati, fra cui il consigliere delegato della Sma (società in house della Regione Campania attiva a tutto campo in ambito ambientale), un commercialista e quattro imprenditori. Sentiti da diverse testate giornalistiche, gli interessati respingono ogni addebito.

Un’indagine che promette nuovi e importanti sviluppi, resa nota al pubblico prima del previsto a seguito di una parallela inchiesta giornalistica della testata Fanpage.it, che rischiava di “pregiudicare gravemente le investigazioni sulle gravi ipotesi delittuose fin qui individuate (corruzione aggravata ai sensi dell’articolo 7 1. 203/1991, corruzione, finanziamento illecito di partiti politici)”. Anche se – tiene a precisare la procura – “la delicatezza e la complessità dell’attività di indagine in svolgimento impongono di conservare il più stretto riserbo”. Secondo gli inquirenti, insomma, i quattro imprenditori indagati avrebbero agito “per disporre l’affidamento di un appalto di smaltimento fanghi provenienti da cinque diversi depositi di stoccaggio Sma a società riconducibili alla cordata Perrella-Esposito-Infantino”. Facendosi promettere, ancora secondo l’accusa, “dai medesimi imprenditori somme di denaro calcolate in percentuale sulla scorta dei guadagni ottenuti a seguito dell’evocato affidamento”. Un terzo filone investigativo punta dritto a un clan di Napoli centro. Per Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, l’agenzia anti corruzione, è “inquietante sapere che lo sversamento continua”.

Proprio a causa dell’inchiesta giornalistica sono finiti indagati con l’accusa di “induzione alla corruzione” Francesco Piccinini, direttore di Fanpage.it, e il giornalista Sacha Biazzo, videoreporter autore dell’inchiesta. “Abbiamo messo una telecamera addosso a un ex boss dei rifiuti mandandolo in giro per l’Italia a incontrare industriali e politici per prendere accordi in cambio di tangenti. Noi – sottolinea il direttore di Fanpage.it in un colloquio con l’agenzia di stampa Adnkronos – abbiamo fatto questo nell’ambito di un’inchiesta giornalistica. È chiaro che non abbiamo smaltito rifiuti né preso soldi”. Nel sito della testata va in onda il più squallido modello ecomafioso, ossia l’accordo fra imprenditori desiderosi di scaricare a prezzi modici rifiuti (in questo caso solo un’esca di giornalisti) e titolari di aree e impianti pronti a consentire sversamenti incontrollati. In questo caso la furbata sarebbe una condotta nascosta sottoterra dove scaricare direttamente rifiuti liquidi, che poi sarebbero confluiti nei Regi Lagni. Grazie alla telecamera nascosta, colui che offre la soluzione sbrigativa si mostra spavaldo e tranquillo, abituato, del tutto convinto di poterlo fare alla luce del giorno senza rischi né remore. Spiega calmo all’esca preparata dal giornalista: “La sera i camion arrivano già con un tubo, ok? Noi mettiamo dentro (il tubo, nda) e si scarica; la sera quando arrivano gli autisti li mettiamo a dormire, poi la mattina alle 6 prendono il camion e se ne vanno”. Il tutto finirà in una vasca, a sua volta collegata – illegalmente – con la rete fognaria. A rendere l’operazione sicura, il fatto che le conduttore illegali sono completamente nascoste, nessuno può vedere nulla, sostengono i promotori ostentando sicurezza. “Puoi cominciare pure domani sera”, chiosa al termine della proposta.

Ancora una volta vengono i brividi a vedere immagini come queste, in un territorio già drammaticamente colpito dagli smaltimenti criminali, tanto da farne una delle aree più inquinate d’Europa e una bomba ecologica che sta letteralmente uccidendo i suoi abitanti. Prima che arrivino sentenze e che le indagini concludano il loro corso, si può da subito sostenere che si sta assistendo all’ennesima riproposizione di un sistema criminale imposto in un territorio preciso – ancora oggi a forte vocazione agro-industriale – che non solo consente di guadagnare nell’immediato con gli sversamenti illeciti, ma soprattutto consente di mantenere in vita un sistema di tipo emergenziale che si pasce delle emergenze e del pregresso. Un sistema in cui la corruzione rappresenta l’immancabile lubrificante usato per mettere in moto i processi amministrativi che dovrebbero servire per superare quelle stesse criticità ambientali create ad arte dagli ecocriminali, come dimostra il caso delle bonifiche e la gestione delle ecoballe. Come a dire, non siamo davanti a un singolo fatto criminale ma un meccanismo capace di perpetrare l’illegalità all’infinito. Meccanismo perverso, fatto di uomini del posto senza scrupoli (mafiosi o non mafiosi fa poca differenza), che sembra resistere a tutto: agli arresti, ai sequestri e alle condanne. E che non si ferma neanche davanti ai lutti e ai drammi di migliaia di loro conterranei. È ancora Gomorra da quelle parti.

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