L’Europa multa l’Italia sulle acque reflue

Acque reflue

L’Unione Europea infligge una maximulta all’Italia per il mancato rispetto delle norme sulle acque reflue urbane. La Corte di giustizia ha condannato il Paese a pagare una cifra forfettaria di 25 milioni di euro. A questi si aggiungeranno poi 30 milioni per ogni semestre di ritardo nell’adeguamento alla normativa. La Corte aveva già rilevato una prima volta l’inadempimento dell’Italia in una sentenza del 2012.

“La Corte – si legge in un comunicato rilasciato il 31 maggio – constata che, alla data limite dell’11 febbraio 2016, l’Italia non aveva preso tutte le misure necessarie per l’esecuzione della sentenza del 2012 al fine di rispettare gli obblighi che le incombono in forza della direttiva. La Corte ritiene che l’inadempimento dell’Italia, oltre ad esser durato quasi sei anni, sia particolarmente grave per il fatto che l’assenza o l’insufficienza di sistemi di raccolta o di trattamento delle acque reflue urbane sono idonee ad arrecare pregiudizio all’ambiente”.

Sono 74 i centri urbani per i quali l’Italia non ha fornito la prova dell’esistenza di sistemi di raccolta e di trattamento delle acque reflue conformi. Sebbene il numero si sia ridotto, erano 109 nel 2012, la Corte ha sottolineato che “la messa in conformità dei sistemi di raccolta e di trattamento secondario delle acque reflue urbane di alcuni agglomerati con le disposizioni della direttiva avrebbe dovuto essere realizzata al più tardi il 31 dicembre 2000”.

“Sciupata l’occasione dei fondi Cipe”

“In Italia la maladepurazione continua ad essere un’emergenza irrisolta – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Nonostante gli avvertimenti e il tempo dato, in questi anni, dall’Europa al nostro Paese per mettersi in regola sul fronte delle acque reflue, ad oggi l’Italia è ancora in forte ritardo e poco è stato fatto per risolvere il problema della maladepurazione come conferma la maxi multa, da 25 milioni di euro più 30 milioni per ogni semestre di inadempienza, arrivata oggi dalla Corte di giustizia europea. Soldi che avremmo potuto spendere per aprire nuovi cantieri per la depurazione e realizzare sistemi efficienti e moderni, creando nuovi posti di lavoro”. “La maxi multa – aggiunge Zampetti – arriva per l’incapacità della Penisola di gestire il ciclo delle acque reflue, senza contare che in questi anni in alcune regioni del Mezzogiorno si è persa la grande occasione offerta dai fondi Cipe, destinati alla costruzione e all’adeguamento degli impianti, per mancanza di progetti adeguati e di qualità. È ora di dire basta ad ogni forma di alibi, l’Italia intervenga immediatamente per contrastare questa emergenza che causa danni all’economia, al turismo e soprattutto all’ambiente, in particolare alle acque di fiumi, laghi e mare come Legambiente ha denunciato con le campagne di Goletta Verde e Goletta dei laghi.  È fondamentale che la gestione delle acque reflue e l’adeguamento del nostro sistema depurativo, insieme a progetti di qualità e innovativi, diventi una delle priorità dell’agenda politica. Non sono più ammessi ritardi e multe a carico della collettività”.

“In Sicilia il 17% dei depuratori non funziona”

“La Corte di giustizia Ue bacchetta l’Italia per l’ennesima volta per le aree sprovviste di reti fognarie o sistemi di trattamento delle acque reflue e in Sicilia siamo al paradosso: oltre il 17% dei depuratori presenti nell’isola non funziona”. Parole del deputato regionale del M5S Nuccio Di Paola, membro della commissione Ambiente dell’Ars, che per verificare lo stato di avanzamento degli interventi ha chiesto la convocazione urgente di un’audizione del commissario straordinario unico per la depurazione Enrico Rolle, del governatore Nello Musumeci e dell’assessore Andrea Pierobon. ” In Sicilia, stando ai dati dell’Arpa contenuti nel ‘Report controlli 2017’, esistono 438 impianti di trattamento delle acque reflue urbane ma appena il 17,5% dei macchinari opera con autorizzazione allo scarico in corso di validità – ha spiegato Di Paola – La restante parte, in assenza di autorizzazione o con autorizzazione scaduta o è destinatario di decreti di diniego allo scarico. Il 18% degli impianti, poi, non è attivo, ovvero realizzato ma non connesso alla rete fognaria, esistente ma non attivo o in stato di by-pass.

“Non sono bastati 18 anni per mettersi in regola”

“Inquinare, e non impedirlo, è veramente un pessimo affare. Ci rimettono l’ambiente e gli ecosistemi terrestri, fluviali e marini, la salute umana e ora anche le nostre tasche”. Lo afferma il Wwf commentando la maximulta comminata all’Italia dalla Corte di giustizia europea per la mancata depurazione delle acque reflue. “La multa non è certo una sorpresa, ma il frutto di tanti anni di gravi inadempienze sulle normative europee. Non sono bastati 18 anni di tempo per mettersi in regola”, dichiara il Wwf, che ricorda la precedente condanna del 2012. “L’Italia ha ridotto le situazioni fuori norma, ma ha comunque continuato ad avere oltre 70 aree o centri urbani sprovvisti di reti fognarie o di sistemi di trattamento delle acque di scarico. Sono ben 18 le Regioni fuori regola”. L’associazione esprime preoccupazione per “le altre procedure che incombono sull’Italia in materia di acque, riguardanti l’inadeguata applicazione della direttiva quadro Acque, una concernente le derivazioni a scopo idroelettrico e una per la generale mancata attuazione della direttiva”.

“E ora rischiamo sui fanghi”

“La multa decisa dall’Ue all’Italia sulla depurazione ha radici lontane, nella mancanza di investimenti negli ultimi 60 anni. Salvo un breve periodo a inizio degli anni ’80 di finanziamenti speciali per il Mezzogiorno, solo oggi grazie all’esistenza di un’Autorità di regolazione possiamo dire che si sta migliorando. È questa la causa del gap infrastrutturale che oggi ci porta ad essere nuovamente bacchettati dall’Ue. Bisogna mettersi in regola, anche perché pagare per avere impianti adeguati è meglio che continuare a ‘regalare’ soldi in sanzioni comunitarie”. Così Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia, l’associazione delle imprese di acqua energia e ambiente. “Gli investimenti sono ripartiti da quando l’Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, ndr) ha varato il metodo tariffario che consente di calcolare gli effetti economici delle scelte industriali, ma siamo ancora molto lontani dal recupero del nostro ritardo. In particolare le sanzioni Ue si concentrano in quella parte del Paese, le regioni meridionali, nel quale prevalgono gestioni dirette di enti locali anziché di aziende strutturate. E poi bisognerà stare attenti a non passare dalle multe sulla depurazione a quelle sui fanghi”. Il direttore di Utilitalia si riferisce alla questione aperta su una bozza di decreto relativo ai fanghi di depurazione, ovvero quelli che residuano dalla pulizia delle acque. “L’Italia deve decidere come si possano smaltire. In un’ottica di economia circolare si possono usare per produzione di biocarburanti o per l’agricoltura. Oppure si può portarli a incenerimento o in discarica”.

“Abbiamo fatto il massimo”

Le multe comminate dalla Corte di giustizia europea sono “più che dimezzate rispetto all’orientamento di 6 anni fa”, a testimonianza “che da parte del governo italiano si è lavorato per superare le inadempienze di fronte all’Europa e, soprattutto, per migliorare significativamente i servizi di depurazione delle acque ove sono insufficienti o inefficienti”. È quanto si legge in una nota del ministero dell’Ambiente, in cui si sottolinea che dal 2014 l’ex ministro Gian Luca Galletti “ha avviato una serie di azioni per affrontare le criticità evidenziate dalla Ue”. In particolare “è stata avviata un’azione di coordinamento e impulso alle Regioni e agli enti locali che hanno la titolarità del servizio idrico e che come noto nella gran parte del Mezzogiorno non hanno attivato il servizio idrico integrato con l’affidamento al Gestore unico”. Gli agglomerati ancora non a norma o assenti sono così scesi a 74, di altri 7 è previsto i collaudo entro fine 2018, si legge nel comunicato, “ma la situazione resta grave, nonostante le risorse finanziarie del governo coprano tutto, perché la governance del Sistema idrico integrato non è a norma di legge, in vaste aree non c’è il Gestore unico e non ci sono spesso neanche gli enti d’ambito: con conseguente parcellizzazione e miriade di gestioni in economia da parte dei singoli Comuni o consorzi di Comuni. Prova ne è che dei 124 interventi programmati (nei 74 agglomerati) per un importo complessivo interamente finanziato di 1 miliardo e 800 milioni, 83 sono gestiti dal commissario unico ma 41 restano in capo a Comuni, consorzi, Regioni e altri enti.

pubblicato il 31 maggio 2018 alle ore 15.00
primo aggiornamento il 31 maggio alle ore 17.20
secondo aggiornamento il 1 giugno alle ore 11.00
terzo aggiornamento il 1 giugno alle ore 11.15
quarto aggiornamento il 1 giugno alle ore 11.50
quinto aggiornamento il 1 giugno alle ore 13.20

 

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