La notizia del decimo riconoscimento Unesco per il nostro Paese è di quelle importanti. È importante perché il riconoscimento della transumanza quale patrimonio immateriale culturale dell’Unesco per il nostro Paese significa riconoscere una pratica tradizionale di allevamento del bestiame, e tutta una cultura di gestione territoriale di grandissimo interesse ambientale ad essa connessa. Ma è anche la conquista di un primato mondiale di riconoscimenti Unesco in ambito agro-alimentare che aggiunge la transumanza a quelli già ricevuti per la dieta mediterranea, la pratica della coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, l’arte del pizzaiuolo napoletano, della tecnica dei muretti a secco e dei paesaggi vitivinicoli delle Langhe e del Prosecco.
La tradizionale pratica di migrazione stagionale del bestiame lungo i tratturi e verso condizioni climatiche migliori è stata iscritta all’unanimità nella Lista Rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco durante il comitato intergovernativo che si è riunito ieri a Bogotà in Colombia, perché I pastori transumanti del Mediterraneo e delle Alpi, come sottolinea il dossier di candidatura presentato dall’Italia insieme a Grecia e Austria all’Unesco, hanno una conoscenza approfondita dell’ambiente, dell’equilibrio ecologico tra uomo e natura e dei cambiamenti climatici: si tratta infatti di uno dei metodi di allevamento più sostenibili ed efficienti.
Il progetto di candidatura della Transumanza, alla quale partecipano anche la Grecia e l’Austria insieme all’Italia, che è capofila, è iniziato nel 2015 per volontà di un GAL (gruppo di azione locale) del Molise che ha riunito tutti i pastori transumanti locali, cui si sono aggiunti i pastori di molte altre regioni italiane che attuano la pratica della migrazione stagionale di greggi, mandrie e pastori lungo le vie semi-naturali dei tratturi.
Dalle Alpi al Tavoliere, nel nostro Paese sono interessati dal riconoscimento i comuni di Amatrice nel Lazio, Frosolone in Molise, Anversa degli Abruzzi e Pescocostanzo in Abruzzo, Lacedonia in Campania, San Marco in Lamis e Volturara Appula in Puglia, insieme a territori della Lombardia, la Val Senales in Trentino Alto-Adige, e la Basilicata. Si tratta di un riconoscimento all’intera cultura pastorale mondiale che ha il suo cuore proprio nel Mediterraneo e nel nostro Paese, in particolare sugli Appennini, che bisogna utilizzare per riappropriarsi di un ruolo nella difesa e nella modernizzazione della cultura pastorale collegata alla tutela di ambienti unici, da tutelare, la cui ricchezza è sottovalutata ma che un tempo rappresentavano la vera ricchezza dei territori interessati. Oggi la transumanza è praticata soprattutto in Abruzzo, Molise e Puglia lungo gli antichi tratturi regi e le grandi connessioni ecologiche dove l’attraversamento delle pecore ha disegnato i paesaggi dei parchi appenninici, ma resiste con forme diverse anche nel Lazio e in Sardegna e nelle regioni meridionali dove si alleva la vacca podolica (Campania, Basilicata e Calabria) ma anche al Nord tra Italia e Austria nell’Alto Adige, in Lombardia, Valle d’Aosta, Sardegna e Veneto.
La transumanza ed i tratturi, che per la gran parte attraversano parchi e riserve naturali, sono l’ossatura dei territori montani appenninici dotati di omogeneità, dal punto di vista geomorfologico, e di diversità, dal punto di vista storico e culturale, a cui si congiungono ambiti territoriali che stabiliscono con l’Appennino differenti sistemi di relazioni come quelli che nel tempo hanno sviluppato forti connessioni, economiche e culturali con il sistema appenninico, come ad esempio il promontorio del Gargano o dei Monti Lepini. In questi territori la transumanza ha strutturato una complessa rete di tratturi (vie erbose), ossia il privilegio, previsto nei codici degli imperatori Teodosio e Giustiniano, di libero passaggio dei pastori sui pubblici sentieri della transumanza. I tratturi avevano larghezza e lunghezza variabili. I Tratturi Regi, ad esempio, nel periodo di massimo splendore, erano larghi 111 metri (esattamente 60 passi napoletani, corrispondenti a 111, 11 metri) e lunghi più di 200 km. I Tratturi costituivano un sistema viario complesso, arricchito anche dall’esistenza di arterie di collegamento secondarie come i tratturelli e i bracci, funzionali a collegare fra loro i diversi Tratturi e questi con i vari centri abitati. Il legame di queste antiche reti ecologiche con il territorio è stato forte e secolare tanto che la transumanza ha influenzato cultura, letteratura, religione, leggende, tradizioni dei territori attraversati. Una ricognizione di tutti i suoli tratturali effettuata dopo l’unità d’Italia evidenziò l’esistenza di 83 fra tratturi e tratturelli, per un’estensione di 2.978,29 km e una superficie di ben 21.000 ettari. Nel 1908 con la legge n° 746, fu stabilito di sopprimere tutti i tracciati non più necessari all’uso pubblico, conservandone solo i quattro tracciati dei Tratturi Regi: il L’Aquila – Foggia, il Celano – Foggia, il Castel di Sangro – Lucera ed il Pescasseroli- Candela.
I tratturi, le vie della transumanza che furono percorse dai pellegrini che attraversavano le vie storiche segnate dalla presenza di monasteri, non sono solo gli assi portanti del sistema dei sentieri e degli itinerari turistici e culturali moderni, ma rappresentano le infrastrutture verdi che legano la biodiversità dei diversi contesti territoriali, custodiscono la tradizione dell’allevamento estensivo e la zootecnia sostenibile e sono le connessioni culturali che conservano tradizioni e conoscenze manifatturiere comuni. Il riconoscimento Unesco alla transumanza ci permette di riscoprire il valore della civiltà pastorale del nostro Paese, rappresenta un’occasiona per rileggere le antiche tradizioni ma nella modernità di contesti territoriali, come gli Appennini ad esempio, che devono essere riscoperti per le ricchezze di natura che contengono, senza dimenticare le difficoltà sociali ed economiche in cui versano questi territori.