di GRAZIA BATTIATO
“Il Mediterraneo è un bene comune. Un bene prezioso, a livello ambientale ed economico, di vitale importanza per i paesi della regione, che va tutelato attraverso la cooperazione transnazionale”. Alessandra Sensi, responsabile dei settori Ambiente ed Economia Blu presso il Segretariato di Union for Mediterranean (UpM), delinea a Nuova Ecologia le azioni che i 43 paesi membri hanno deciso di promuovere per affrontare il problema del marine litter. Ce ne parla a Barcellona, a margine di un incontro fra Interreg e Eni CBC Med, programmi europei di spicco nell’ambito della cooperazione mediterranea. Il meeting, il cui obiettivo è creare e consolidare sinergie per tutelare il Mediterraneo dai rifiuti in mare, ha coinvolto Legambiente con Common, nuovo progetto europeo mirato a capitalizzare, rafforzare ed espandere nel sud del Mediterraneo l’iniziativa Plastic Busters, lanciata dall’Università di Siena e labelizzata dall’UfM, che massimizzerà i risultati sull’impatto del marine litter anche nei paesi del Mediterraneo meridionale. Infatti, Common condurrà le sue attività di ricerca in sinergia e a supporto di Plastic Busters grazie a una serie di azioni congiunte tra Italia, Libano e Tunisia per affrontare il problema dei rifiuti in mare nell’ambito del più ampio approccio alla gestione integrata delle coste.
La missione di Union for Mediterranean è il dialogo e la cooperazione in tutto il bacino mediterraneo. Quali sono al momento le vostre priorità?
L’UfM rappresenta 43 Paesi ed è il framework istituzionale delle relazioni Euro-mediterranee. Essendo un’organizzazione politica la sua geografia va oltre i Paesi che si affacciano direttamente sul Mediterraneo, estendendosi anche a paesi come la Giordania – attualmente CoPresidente dell’UfM insieme all’Unione Europea – e la Mauritania. Tutti sono coinvolti in un dialogo paritario e volto a creare un’agenda positiva di collaborazione e cooperazione su sfide/questioni comuni, come per appunto, la Blue Economy, il climate change e il marine litter, che in questo momento sono priorità assolute. L’UfM lavora su tre livelli: il primo è quello delle dichiarazioni ministeriali, il secondo è quello dei gruppi di lavoro e il terzo livello è quello dei progetti.
Nell’ambito dei progetti, quali sono i frutti dello scambio tra i paesi del nord e del sud del Mediterraneo?
Il nostro approccio è basato su uno scambio reciproco che non va solo da nord a sud, ma anche da sud a nord, perché i Paesi del sud del Mediterraneo sono spesso portatori di best practices. Sono tanti i progetti in corso che li coinvolgono, e tra questi COMMON è quello che per primo è riuscito a ottenere il sostegno finanziario necessario per portare avanti azioni congiunte ed integrate sui rifiuti in mare tra Italia, Libano e Tunisia. Common può supportare Libano e Tunisia in attività chiave dell’intero ciclo del marine litter e beneficiare dell’esperienza di tutti gli altri progetti regionali sia su metodologie e misure di mitigazione del fenomeno che su strumenti di regolamentazione. Può quindi riuscire a massimizzare i risultati di altri progetti ed applicarli a Libano e Tunisia, anche facendo in modo che questi Paesi possano diventare portatori di best practices.
E l’Italia che ruolo può giocare per affrontare e ridurre il marine litter?
L’Italia ha una massa critica molto consistente, formata da ricercatori, organizzazioni non governative ed enti istituzionali e non, con competenze altissime e apprezzatissime a livello europeo e mondiale, che può giocare tutto in positivo. Però bisogna fare sistema, fare squadra. Giocare tutti insieme e nella stessa direzione per affrontare il marine litter in modo coordinato affinché ognuno – nell’ambito del proprio mandato, delle proprie capacità e del proprio ruolo – possa davvero contribuire ad un obiettivo comune. Il New Green Deal è un enorme passo in avanti.