Incubo xylella

immagine di un uomo in un uliveto colpito dalla xylella

Xylella, sottospecie “fastidiosa”, genotipo St53, è un batterio che viaggia su una piccola mosca detta “sputacchina”, responsabile della sindrome nota come “Complesso di disseccamento rapido dell’olivo”. Sbarcato probabilmente a Gallipoli su una pianta ornamentale proveniente dalla Costa Rica, dall’estate 2013 a oggi il “virus” ha invaso 5.000 km quadrati lungo tre province pugliesi: Lecce, Brindisi e in parte Taranto. Un territorio che ospita venti milioni di ulivi. Due punti vanno chiariti prima di continuare a scrivere: il primo è che per il batterio al momento non esiste una cura né si intravede la possibilità di trovarne una a breve termine; l’altro è che “zona infetta”, che oggi corrisponde all’intero Salento, non significa che tutti gli alberi siano contagiati ma è dove non è più possibile eradicare il batterio, perché la xylella è troppo diffusa. Secondo la gran parte della comunità scientifica serviranno anni per rendersi conto delle dimensioni di questa autentica catastrofe, perché il male, a dispetto del nome, non è affatto rapido. Ma dove aggredisce non lascia scampo. La battaglia che l’Italia non ha ancora neanche cominciato a combattere, nonostante le ripetute sollecitazioni dell’Europa, fino al deferimento alla Corte di giustizia europea, è quella di provare a fermare l’ulteriore avanzata del batterio killer. Soprattutto perché richiede scelte dolorose, come i trattamenti obbligatori di fitofarmaci per colpire gli insetti che lo diffondono e l’abbattimento, nella “zona di contenimento” e in quella “cuscinetto”, di tutti gli alberi nel raggio di cento metri da una pianta infetta.

Sono tanti gli ingredienti che hanno portato a questa situazione. Il rifiuto dell’evidenza scientifica e le teorie del complotto, con la regia occulta del contagio prima attribuita a Monsanto e poi alla Tap. E ancora l’opportunismo politico, l’esasperante lentezza della burocrazia, i ricorsi ai tribunali amministrativi regionali, i sequestri giudiziari che hanno fatto discutere, la ricerca del sensazionalismo in tv, come è capitato con la trasmissione “Le Iene”, una certa “leggerezza” da parte di troppi vip, da Al Bano a Sabina Guzzanti, solo per citarne alcuni. Un groviglio di fattori che ha contribuito a creare lo stallo in cui ci troviamo ora. Pagato a caro prezzo il 17 maggio, quando il nostro Paese, come accennato, è stato deferito alla Corte di giustizia europea, l’anticamera delle sanzioni, per non aver adempiuto alle misure di contenimento del batterio, a cominciare dal taglio delle piante infette.

Al momento di scrivere sono 3.700 quelle in attesa di eradicazione (erano 735 a gennaio, 2.924 a marzo). Pochi giorni dopo il deferimento, il Comitato europeo per la salute delle piante ha inoltre approvato la proposta della Commissione di estendere l’area di quarantena di circa 25 km verso nord. Il confine della zona di contenimento va ora da Monopoli, costa adriatica, a Ginosa, sullo Ionio. Un’area che comprende parti delle province di Brindisi e Taranto e per la prima volta anche un quadrato nell’agro di Locorotondo, in provincia di Bari, il cuore produttivo dell’olio extravergine d’oliva italiano. Il pericolo fa tremare gli olivicoltori pugliesi ancor più che in passato, considerato che nelle province di Bari e Bat (Barletta, Andria, Trani) si concentra il maggior numero di aziende olivicole della regione. E che per la stagione 2018-19 è già previsto un calo della produzione del 60%, a causa dei danni provocati da xylella in Puglia meridionale e dalle gelate in quella settentrionale.

Fronti contrapposti

Proprio a Bari, il 23 maggio, si sono ritrovate in piazza le fazioni pro e contro abbattimenti e fitofarmaci. E così mentre il “popolo degli ulivi” e il Comitato di salvaguardia del territorio e dell’ambiente della Valle d’Itria chiedevano di fermare le eradicazioni e abrogare il decreto Martina, che prevede trattamenti obbligatori di fitofarmaci per colpire il vettore e bloccare la malattia, davanti alla procura si svolgeva una manifestazione di segno opposto. L’obiettivo del Consorzio nazionale olivicoltori – il più importante d’Italia, che nella sola Puglia conta sessantamila produttori associati – è infatti quello di aprire indagini e accertamenti di natura penale verso chi divulga fake news “tali da turbare l’ordine pubblico e la sicurezza e contro chi con il proprio comportamento, anche colposo e omissivo, è responsabile della diffusione di malattie contro le piante di ulivo”. Nel mirino del Consorzio, spiega a Nuova Ecologia il suo presidente Gennaro Sicolo, agricoltore di Bitonto, «tutti quelli che hanno ceduto alle lusinghe di fantasiose ricostruzioni, che attraverso ricorsi al Tar contro le eradicazioni e ordinanze comunali farlocche contro il decreto Martina, continuano ad alimentare la peste degli ulivi pugliesi». Il Consorzio, puntualizza Sicolo, ha presentato esposti anche alle procure di Lecce, Brindisi e Taranto. Alla domanda su cosa vogliono ottenere con gli esposti, si scalda. «Ci siamo rivolti alla magistratura perché se non si smuove qualcosa a settembre bloccheremo l’Italia con i trattori, questo è un problema che riguarda tutto il Paese. Siamo stanchi di essere presi in giro. Chiederemo il risarcimento a chi ha creato le condizioni affinché il batterio dilagasse. È dal 2013 che diciamo che l’albero infetto va estirpato, se lo avessero fatto subito non saremmo arrivati a questi livelli. Emiliano, in campagna elettorale, diceva che il problema l’avrebbe risolto lui… ».

Il presidente della Regione, Michele Emiliano, ritiene invece che la Puglia sia stata lasciata sola e il 24 maggio, in una conferenza stampa, ha scaricato la colpa sul governo uscente. “Ho scritto a Gentiloni ricordandogli che da un anno lo Stato blocca gli abbattimenti. Siamo in partita, siamo in grado – ha affermato in quella occasione – se il governo nazionale ci darà il decreto d’urgenza per procedere all’abbattimento degli alberi senza ritardo, di farlo mentre spiegheremo all’Unione Europea che questo provvedimento sull’estensione dell’attuale area di quarantena per la xylella in Puglia è completamente sbagliato. Non riusciamo ad abbattere le piante dove ci sono i ricorsi al Tar”. Alla Regione Puglia, insomma, sostengono di avere le mani legate fino a quando non ci sarà un decreto d’urgenza, che permetta di procedere agli abbattimenti appena individuato un albero infetto. Ora la palla passa al nuovo esecutivo e in particolare al ministro delle Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio, che a pochi giorni dal suo insediamento ha annunciato che sarà presto in Puglia “per prendere contezza di persona del drammatico e indisturbato avanzare della xylella e incontrare i rappresentanti istituzionali e di categoria”. Centinaio, presso le sedi europee, dovrà occuparsi anche del ristoro per gli olivicoltori danneggiati. E qualcuno in Puglia già teme la “concorrenza” delle quote latte, partita su cui per la Padania sono in gioco un miliardo e 300 milioni di euro.

Ricette radicali

La presa di posizione di Emiliano ha scatenato duri attacchi nei suoi confronti, comprensibili visto che nel 2015 il governatore era schierato contro i tagli, chiedendo la fine del commissariamento e la presa in carico dell’emergenza da parte della Regione. In queste settimane si è poi riaccesa la polemica sul decreto Martina (“Salviamo la sputacchina e fanculo Martina” uno degli slogan della manifestazione di Bari). Dopo che il sindaco di Nardò (Le), Pippi Mellone, ha deciso di non applicare il decreto, prevedendo multe a chi utilizza pesticidi, è scoppiata la bagarre. Tanti “colleghi” in Salento hanno seguito Mellone e alla protesta si sono aggiunte alcune associazioni di agricoltori biologici, Aiab inclusa. Il problema nasce dai timori sull’uso di fitofarmaci di nuova generazione della famiglia dei neo-nicotinoidi: la maggior parte dei prodotti uccidono in modo indistinto qualsiasi insetto, comprese le api. Ad alimentare le polemiche ha contribuito il fatto che proprio in quei giorni l’Ue metteva al bando tre neo-nicotinoidi, uno dei quali figura nell’elenco dei prodotti consigliati agli agricoltori contenuto nel decreto. “I trattamenti previsti per contrastare la xylella sono sicuri per l’ambiente”, ha assicurato l’assessore all’Agricoltura della Regione Puglia, Leonardo Di Gioia. Per quanto riguarda le aziende bio, “la Regione tramite l’osservatorio fitosanitario ha avanzato richiesta al ministero della Salute di autorizzazione eccezionale per prodotti a base di spinosad o olio essenziale di arancio dolce, già in uso e autorizzati in agricoltura biologica”. Insomma, per Di Gioia le polemiche sull’uso indiscriminato di prodotti chimici nocivi all’ambiente sono infondate perché si tratta di trattamenti “già in uso da anni e praticati in tutte le regioni con modularità e intensità diverse a seconda delle esigenze”.

Per fare chiarezza su un aspetto così delicato, lo scorso 7 giugno a Lecce si è tenuto un Consiglio comunale monotematico, dove è stato spiegato che le indicazioni contenute nel decreto e la direttiva dell’osservatorio fitosanitario regionale stabiliscono che i neo-nicotinoidi sono quelli autorizzati dall’Efsa, che ovviamente impedisce i prodotti banditi. «L’interpretazione impropria – dice a Nuova Ecologia il sindaco Carlo Salvemini – è scaturita da un malinteso provocato dallo sfasamento temporale fra l’emanazione del decreto e il pronunciamento della Commissione, che faceva intendere che si sarebbe potuta utilizzare anche la sostanza attiva messa al bando. Non è così. Si è ribadito che i trattamenti obbligatori faranno ricorso a sostanze considerate non nocive dall’Agenzia europea che sovraintende all’impiego di fitofarmaci in tutta Europa». L’iniziativa nel capoluogo del Salento è scaturita da alcuni consiglieri di minoranza in seguito alla decisione del sindaco di non voler disobbedire alle prescrizioni del decreto Martina. «Tutta la scienza agronomica sostiene che in presenza di epidemie batteriche bisogna intervenire con le eradicazioni e contestualmente con l’uso di fitofarmaci – spiega il primo cittadino – Si è detto no alle eradicazioni, sostenendo che avrebbero devastato il paesaggio salentino, quando in realtà si sarebbe dovuto abbattere lo 0,09% degli ulivi impiantati. Oggi si dice no ai fitofarmaci, descrivendo una situazione di avvelenamento irreversibile della Puglia, ma ignorando quanti sono oggi i kg di fitofarmaci utilizzati in agricoltura: dicendo no ai fitofarmaci si rifiuta qualunque iniziativa di contenimento della xylella». Ma come risponde a chi ancora oggi per contenere la xylella parla di misure di prevenzione e di buone pratiche? «È come dire a un paziente afflitto da un male forse incurabile, avresti potuto fare questo… dobbiamo curare quel paziente intervenendo con le terapie note».

Tempo da recuperare

È sulla stessa lunghezza d’onda Legambiente. Per Angelo Gentili, responsabile agricoltura dell’associazione, nonostante «il decreto Martina non sia condivisibile riguardo l’uso eccessivo di fitofarmaci, e dei neo-nicotinoidi in particolare», non c’è più tempo da perdere. «Con tutto il rispetto per quegli alberi secolari e per l’importanza che hanno dal punto di vista paesaggistico, se c’è una patologia così invasiva non c’è davvero altra strada percorribile. Su questo aspetto, l’aver perso cinque anni è stato folle. Questa strada deve però procedere in parallelo con altre, non basta tagliare gli alberi – puntualizza – Innanzitutto, bisogna continuare a lavorare sul fronte della ricerca per trovare ceppi resistenti dal punto di vista genetico che possano essere reinseriti in una terra vocata all’olivicoltura come la Puglia». È quello che si sta provando a fare, dal 2016, col progetto “Xylella quick test tolerance”: 12 ettari di ulivi secolari innestati con 270 cultivar provenienti da tutto il mondo. Un’idea nata dai ricercatori dell’Ipsp-Cnr e da quelli dell’università di Bari, su cui ha scommesso il presidente del Consorzio olio dop Terra d’Otranto, Giovanni Melcarne, che l’ha finanziata.

A qualcuno non deve essere piaciuta visto che lo scorso settembre, in pieno clima da caccia alle streghe, il campo è stato vandalizzato. Per tornare alla lotta agronomica, Legambiente Puglia, attraverso il suo presidente Francesco Tarantini, ha espresso pubblicamente “l’auspicio che possa prevalere un approccio sostenibile nella gestione di parassiti e infestanti, orientato alla promozione di buone pratiche che valorizzino le risorse naturali locali e i processi biologici per ripristinare la fertilità del suolo”. Secondo Tarantini, “quella della xylella è una storia di contraddizioni, rinvii e polemiche. È necessario un lavoro sinergico per non compromettere il futuro dell’olivicoltura pugliese, tutelando le migliaia di aziende agricole che rappresentano un patrimonio per la nostra regione”.

Di quanto sia stato “folle” perdere così tanto tempo nella lotta al virus ne sa qualcosa Enzo Manni, a capo della società agricola cooperativa Acli di Racale. Siamo nel cuore del Salento, a poca distanza da Gallipoli, l’area che vanta il triste primato di essere stata la prima a essere colpita dalla xylella. A Nuova Ecologia l’olivicoltore racconta che fino a qualche anno fa la cooperativa metteva insieme seicento soci ma che ora, con la produzione crollata dell’80%, in tanti non rinnovano più l’adesione. Alcuni terreni, dice, si sono azzerati a livello produttivo. «Sono stato il primo ad accorgersi che qualcosa non andava – ricorda – Era una cosa mai vista prima e immediatamente abbiamo posto il problema alle autorità, alle organizzazioni, a tutti gli enti preposti. Inizialmente il problema riguardava il solo basso Salento, forse non pensavano potesse essere così grave… Poi sul territorio si sono creati attriti, c’è stato tanto populismo e troppi punti di vista differenti, che hanno creato confusione. La politica è stata molto distante – continua – mentre le organizzazioni di categoria cercavano di dare un colpo al cerchio e un altro alla botte. Non abbiamo visto la grinta necessaria per affrontare un problema di questa portata, che per la prima volta al mondo si manifestava sugli ulivi». Gli chiediamo qual è il suo stato d’animo a cinque anni da quell’estate maledetta. «Rispecchia quello dei nostri soci, ci facciamo coraggio l’uno con l’altro perché nelle disgrazie non bisogna soltanto piangere ma essere pronti a ripartire, cercare di risolvere – risponde – All’inizio neanche volevo andarli a vedere quegli alberi destinati alla morte… Ora non resta che cominciare a pensare a un nuovo futuro agricolo, non solo olivicolo, visto che non sappiamo che futuro potrà avere l’olivicoltura qui in Salento. Sicuramente i terreni che abbiamo non possono restare abbandonati e improduttivi, altrimenti sarebbe davvero la fine».

pubblicato su “La Nuova Ecologia” di luglio/agosto 2018

 

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