Negli ultimi anni, l’attenzione degli esperti di tutto il mondo è stata focalizzata su numerosi avvistamenti di carcasse di pesci morti per cause inspiegabili a largo delle coste di Israele.
Con il passare del tempo, grazie a una campagna di citizen-science avviata nel paese, sono state raccolte 427 carcasse appartenenti ad almeno 42 specie diverse di pesci. Sono state poi eseguite analisi su esemplari di otto specie e nella maggioranza dei casi è stata osservata una grave infezione causata da un batterio patogeno, Streptococcus iniae.
Sebbene questo agente patogeno sia onnipresente nei pesci in acque calde, un sistema immunitario sano di solito previene le infezioni debilitanti. Analisi climatiche contemporanee hanno rivelato poi che il tasso di riscaldamento delle acque – un aumento di 4,2°C in soli due giorni all’inizio di luglio scorso – è stato il più ripido registrato negli ultimi 32 anni.
In genere, gli eventi di mortalità di massa dei pesci all’indomani delle ondate di calore marine sono riconducibili a fattori quali la proliferazione di alghe tossiche o la privazione di ossigeno (ipossia), ma questa volta la responsabilità non è di un’ondata di calore, perché la temperatura dell’acqua non era eccezionalmente alta al momento delle analisi.
“Quello a cui assistiamo – ha spiegato Kurt Gamperl della Memorial University of Newfoundland, (Canada) – è l’insieme tra una sfida biotica (infezione batterica) e una abiotica (aumento della temperatura) che si sono verificate nello stesso momento. È possibile che l’infezione abbia debilitato gli animali e abbia abbassato la tolleranza termica dei pesci, e questo ha portato all’incremento del numero di morti“. In definitiva quindi, il riscaldamento costante e persistente delle acque è stato fatale per i pesci colpiti dall’infezione batterica.