Ghiacciai del Canin, nell’ultimo secolo perso il 96% del volume

Sulle Alpi Giulie la superficie glacializzata è passata dai 2.37 ai 0.38 km2. Legambiente: “Le grandi quantità di neve di questi ultimi anni non compensano gli effetti dei cambiamenti climatici”

I ghiacciai del Canin hanno perso complessivamente in un secolo circa l’84% dell’area che ricoprivano ed il 96% del loro volume. I dati conoscitivi complessivi sulla deglaciazione delle Alpi Giulie raccontano di come la superficie glacializzata sia passata dai 2.37 km2 di fine Piccola Età Glaciale (PEG),  terminata intorno al 1850,  ai 0.38 km2 attuali. Le stime della riduzione volumetrica indicano un passaggio delle masse glaciali dai 0.07 km3 circa della PEG ai circa 0.002 km3 di oggi. Alla fine della PEG, alcuni settori del ghiacciaio del Canin superavano i 90 m di spessore, mentre oggi il ghiacciaio orientale del Canin ha uno spessore medio di 11.7 m con valori massimi di circa 20. I cambiamenti climatici, caratterizzati da estati sempre più roventi ma anche dall’aumento di eventi estremi di precipitazione nevosa, hanno comportato un lieve aumento di volume dei piccoli corpi glaciali delle Alpi Giulie negli ultimi 15 anni di osservazioni.  

È questo, in estrema sintesi, il risultato del monitoraggio effettuato nella terza tappa della Carovana dei ghiacciai di Legambiente sui ghiacciai del Monte Canin in Friuli Venezia Giulia.

 

“La stranissima situazione climatica della Carnia – dichiara Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente – non può e non deve trarci in inganno, le grandi quantità di neve di questi ultimi anni compensano solo in minima parte gli effetti dei cambiamenti climatici. Sono infatti il sintomo di una situazione anomala dove gli eventi estremi quali le precipitazioni persistenti di neve o di pioggia sono da considerare come eventi casuali sui quali non si può fare nessun affidamento, poiché condizionate esse stesse dalla rapida e poco prevedibile evoluzione della crisi climatica. Inoltre la LAN (Linea di Affidabilità della Neve) che indica l’altitudine sotto la quale sarà impossibile garantire la tenuta della neve sciabile, oggi attorno ai 1500 metri s.l.m., sta salendo a vista d’occhio e continuerà a crescere nella misura di 150 m per ogni grado di aumento di temperatura. È davvero un peccato che le istituzioni regionali e locali non abbiamo acquisito questa consapevolezza tanto da continuare ad insistere su progetti di impianti che non avranno futuro come nel caso del progetto di ripristino di piste e di impianti di Sella Nevea”.

 

Il monitoraggio dei ghiacciai del Canin

Oggi, i piccoli ghiacciai del Canin, insieme al ghiacciaio del Montasio rappresentano i corpi glaciali a più bassa quota del sistema alpino. Gli studi scientifici indicano che la loro persistenza a quote così basse si deve principalmente all’accumulo nevoso straordinario, che gode dell’apporto diretto da precipitazione particolarmente significativo e massimo a livello alpino (3300 mm w.e all’anno) e all’azione delle valanghe. Tali caratteristiche li rendono piuttosto resilienti al riscaldamento globale in questa fase climatica. Infatti, nonostante le temperature medie estive siano aumentate in maniera significativa nel corso degli ultimi 30 anni allungando il periodo di fusione dei ghiacci, il corrispondente aumento di eventi estremi di precipitazione nevosa è andato a compensare temporaneamente le perdite di massa indotte da estati sempre più lunghe e sempre più calde. 

A partire dagli anni 2000, si è verificato un numero crescente di annate con accumuli nevosi eccezionali e molto superiori alla norma, come ad esempio negli inverni 2020-21, 2019-20, 2013-14, 2008-09, 2003-2004 e 2000-01. Ma questo aumento nevoso paradossalmente è anch’esso un segno del riscaldamento climatico, poiché esso comporta l’aumento degli eventi estremi come uragani, forti temporali, alluvioni, e tempeste. Inoltre, un evento estremo può significare il persistere di un evento più a lungo rispetto alla norma; ad esempio, per molte settimane nello stesso luogo possono mancare precipitazioni, oppure al contrario sempre nello stesso luogo può piovere o nevicare a lungo. Questo avviene perché le situazioni di “blocco meteorologico” sono diventate più frequenti e le cause di ciò vanno ricercate verosimilmente nell’Artico. Qui l’incremento di perdita di ghiaccio marino determina la cosiddetta “amplificazione artica”; si tratta di un maggiore incremento del riscaldamento Artico rispetto ad altre regioni a basse latitudini, con ripercussioni sulla circolazione globale e il perdurare di aree di alta o bassa pressione.

In pratica, l’Amplificazione Artica e un mare Adriatico sempre più caldo sono viste tra le possibili cause di inverni con sempre più neve ad alta quota sulle Alpi Giulie. Tutto ciò è stato quindi in grado di portare, temporaneamente, a un lieve aumento di volume dei piccoli corpi glaciali delle Alpi Giulie negli ultimi 15 anni di osservazioni.

La Carovana dei ghiacciai è la nuova campagna di Legambiente, arrivata alla sua seconda edizione e realizzata con il supporto del Comitato Glaciologico Italiano (CGI) e con partner  Sammontana e partner sostenitore FRoSTA, che dal 23 agosto al 13 settembre monitorerà lo stato di salute di tredici ghiacciai alpini più il glacionevato del Calderone in Abruzzo, per sensibilizzare le persone sugli effetti che i cambiamenti climatici stanno avendo sull’ambiente glaciale alpino. Carovana dei ghiacciai è stata inserita nella piattaforma All4Climate – Italy che raccoglie tutti gli eventi dedicati alla lotta contro i cambiamenti climatici che si svolgeranno quest’anno in vista della COP26 di Glasgow.

Dopo la terza tappa, la Carovana dei Ghiacciai continua il suo viaggio e da giovedì 2 settembre fino a sabato 4 sarà sugli Appennini in Abruzzo per monitorare il il Glacionevato del Calderone sul massiccio del Gran Sasso. (Clicca qui per consultare il programma).

Segui il viaggio di Carovana dei ghiacciai anche sulla pagina Facebook di Legambiente Alpi dove verranno postate news, foto, video e interviste.

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