Nei giorni in cui si ricorda il genocidio in Ruanda del 1994, Amnesty International denuncia l’aumento delle politiche di demonizzazione a danno della tutela dei diritti umani in tutto il mondo. Secondo l’organizzazione ci sono sempre più esponenti politici che cercano di vincere le elezioni a ogni costo, inventando in modo cinico e sistematico capri espiatori sulla base dell’identità – religiosa, etnica, razziale o sessuale – spesso per distrarre l’opinione pubblica dall’incapacità dei governi di garantire quei diritti umani che assicurerebbero la sicurezza economica e sociale. Per Amnesty International ciò ha dato luogo a pericolose narrative del “noi contro loro”, instillando paura e repressione a scapito dell’umanità e del rispetto per i diritti umani.
Nei 25 anni successivi al genocidio in Ruanda, il mondo ha assistito a innumerevoli crimini di diritto internazionale, spesso provocati dalle stesse tattiche di esclusione e demonizzazione usate nel 1994 dal governo ruandese alla vigilia del genocidio. Il caso più emblematico è quello del Myanmar dove nel 2017, dopo decenni di discriminazione e persecuzione della minoranza rohingya, prevalentemente musulmana, oltre 700.000 persone sono state costrette a fuggire in Bangladesh a seguito di una crudele campagna di pulizia etnica portata a termine dalle forze armate. Migliaia di persone di etnia rohingya sono state uccise, stuprate, torturate e sottoposte a ulteriori violazioni dei diritti umani. Le Nazioni Unite hanno chiesto che alti ufficiali dell’esercito di Myanmar siano chiamati a rispondere di crimini contro l’umanità e genocidio. L’Ufficio della procuratrice del Tribunale penale internazionale ha deciso a sua volta di avviare un’indagine preliminare.
Amnesty International chiede ai leader mondiali di impegnarsi a fare politica in modo diverso da subito, considerato che alle porte ci sono due importanti elezioni, quelle in India e quelle per il Parlamento europeo