di ANNA CASSARINO
Fabriano si produce la carta più nota in Italia, ed è lì che si trova il museo in cui conoscere la storia di questo materiale fragile e leggero, ma estremamente versatile e in grado di resistere molto a lungo, a determinate condizioni. Nelle sale del Museo della carta e della filigrana si trovano macchine e oggetti di pietra, legno e metallo usate in passato e si può usufruire di una visita guidata che spiega la storia e illustra i vari procedimenti ancora oggi parzialmente eseguiti a mano. Anche quello della filigrana, che permette di riconoscere le carte di particolare valore come la cartamoneta, è spiegato con interessanti dettagli.
La prima cartiera italiana pare fosse fondata da Polese da Fabriano a Bologna già nel XII secolo. A quei tempi la carta era ancora poco usata, le veniva preferita la pergamena ottenuta dalla pelle di pecora e dunque molto robusta, oltre che riciclabile grattando via lo scritto precedente. Solo con l’invenzione della stampa in Europa nel 1455 (in Cina esisteva dal 1041), la carta ha cominciato ad avere un impiego massiccio. La si otteneva dalla sfibratura degli stracci, ma a metà Ottocento era diventato problematico averne a sufficienza e si sperimentarono varie alternative, fino a trovare la soluzione nella pasta di legno (spesso di pioppo) per ottenere la cellulosa, con cui ancora adesso si produce la carta di uso corrente.
La corteccia del gelso da carta (Brussonetia papyrifera) era utilizzata in Cina da circa due millenni e se ne ha notizia fin dal 105 d.C. Quella che erroneamente viene chiamata carta di riso è stata invece fin dal VI secolo un’ottima carta giapponese detta washi, che si ottiene dalla corteccia della Brussonetia papyrifera, della Edgeworthia papyrifera e della Lychnis coronata. Oltre a essere bellissima, traslucida e odorosa, è estremamente resistente. Non a caso è ancora usata nelle case tradizionali giapponesi per le pareti mobili.
Il midollo di un’altra pianta, il celebre papiro, era utilizzato dagli egiziani dal IX secolo, e gli arabi pare abbiano introdotto in Sicilia intorno al 1150 l’uso dei cascami di cotone come materia prima.
Le esigenze di sostenibilità hanno portato, oltre al riciclo della carta usata, alla sua produzione con gli scarti delle mele, della paglia, del bambù, dei vegetali contenuti negli escrementi degli erbivori, ma la migliore carta si ottiene dagli stracci di cotone, di canapa, di lino e juta.
Dopo la visita al Museo della carta, nella parte nord di Fabriano, al bivio per Nebbiano, in via Martiri del 22 giugno al numero 44, si può ammirare una grande e antica quercia roverella.
Le querce europee decidue (che perdono le foglie in inverno) si riconoscono dalle ghiande e dalle inconfondibili foglie a lobi, mentre quelle sempreverdi, come il leccio e la sughera, le hanno piccole, ellittiche e scure sulla pagina superiore, chiarissime sotto. Tutte sono molto robuste, per questo anticamente si incoronava con rametti di quercia chi si era distinto per forza fisica o di carattere. L’abbassamento attuale delle falde acquifere le mette in difficoltà, perché per le loro radici è sempre più difficile raggiungerle.l