Il 2019 è stato l’anno con la riduzione più drastica di emissioni di carbonio dal sistema elettrico mondiale dal 1990. Lo rivela il nuovo rapporto sulla produzione mondiale di elettricità, pubblicato dal think-tank sul clima Ember. Nel complesso, l’energia prodotta dalle centrali a carbone è diminuita del 3% durante l’anno scorso, sebbene sia aumentata in Cina, mentre l’uso dell’energia eolica e solare è aumentato del 15%, tanto da costituire l’8% nella generazione mondiale di elettricità.
La produzione di carbone negli Stati Uniti e in Europa si è praticamente dimezzata dal 2007: solo nell’ultimo anno è crollata di quasi un quarto nell’Unione Europea e del 16% negli Stati Uniti. Il rapporto del centro studi Ember ha sottolineato che l’abbandono della produzione mondiale di energia elettrica a carbone dipende anche da alcuni fattori esterni occasionali, tra cui gli inverni più miti registrati nell’ultimo anno in molti Paesi. Secondo il rapporto “si stanno facendo progressi nella riduzione della produzione di carbone, ma niente di sufficiente per affrontare il cambiamento climatico”.
Dave Jones, l’autore principale del rapporto, ritiene che i governi debbano accelerare drasticamente la transizione della produzione elettrica dalle fonti fossili alle rinnovabili, come eolico e solare, in modo che la produzione globale di carbone crolli nel corso del 2020. E aggiunge: “Senza gli sforzi combinati dei responsabili politici nella promozione dell’energia pulita, non riusciremo a raggiungere gli obiettivi climatici. La crescita del carbone in Cina, e in una certa misura dell’utilizzo di gas, è allarmante”.
Nell’Unione Europea l’utilizzo di energia eolica e solare ha rappresentato l’anno scorso circa il 25% della produzione elettrica, superando l’11% degli Stati Uniti, mentre in Cina e in India si sono registrati rispettivamente l’8% e il 9%. “Per raggiungere gli obiettivi climatici imposti dall’accordo di Parigi, il mondo dovrebbe registrare ogni anno un tasso di crescita del 15% nell’utilizzo di energia verde, il che richiederà uno sforzo colossale” spiega Jones.
L’ultima classifica dell’Asset Owners Disclosure Project, un sistema gestito dal gruppo ShareAction (un ente di beneficenza registrato che promuove investimenti responsabili), ha rilevato che 38 dei 75 maggiori gestori patrimoniali del mondo stanno prendendo tempo invece di agire sulle questioni ambientali. Gli impegni politici sono deboli o inesistenti, soprattutto inadeguati su temi quali il cambiamento climatico, i diritti umani e la conservazione della biodiversità. Felix Nagrawala, analista di ShareAction, ha detto: “Mentre molti impegnati nel settore sono desiderosi di promuovere la loro affidabilità sui temi ambientali, sociali e amministrativi, la nostra analisi indica chiaramente che pochi dei più grandi gestori patrimoniali del mondo possono affermare di avere un approccio veramente sostenibile in tutti i loro investimenti”.