Editoriale al numero di Nuova Ecologia di gennaio 2021
Con l’inizio di questo nuovo anno, mentre i governi europei sono alle prese con la stesura dei piani di ripresa e resilienza da presentare alla Commissione, noi cittadini abbiamo in mente le mille cose che vorremmo riprendere a fare una volta che la pandemia sarà stata domata. Viaggiare, per esempio. E ci piace pensare che lo faremo in treno. Perché ha fascino, è sicuro e soprattutto è il mezzo simbolo della sostenibilità.
I trasporti di merci e persone, scrive Elena Comelli nella storia di copertina, sono responsabili di oltre un quinto delle emissioni globali di gas serra. Di queste il 75% è generato dai veicoli su gomma e soltanto l’1% dalle ferrovie, che consumano appena il 2% dell’energia richiesta dai trasporti. Se si moltiplicheranno i progetti e la realizzazione di locomotive a idrogeno – magari quello “verde”, prodotto con le rinnovabili – il futuro viaggerà davvero sui binari. Non solo nei convogli che collegano le grandi capitali europee, sempre più pieni per effetto del flight shame (vergogna di volare) e della paura di prendere l’aereo in tempi di emergenza sanitaria.
Il futuro dovrà viaggiare su quelle linee ferrate che portano milioni di persone ogni giorno sul posto di lavoro o di studio.
Il treno dei desideri, insomma, non dovrà lasciare a terra nessuno. Per farlo bisognerà investire molto, soprattutto in un Paese come il nostro, che sconta un grave ritardo nello sviluppo dei mezzi pubblici all’interno delle aree metropolitane, quelle in cui ancora si muore troppo per effetto dello smog. Il Piano di ripresa e resilienza italiano può essere l’occasione per colmare questo ritardo, a patto di definire meglio le timide linee indicate nelle prime bozze circolate a dicembre.
Nella valigia che stiamo preparando per il futuro, suggeriamo di infilare anche qualche grande insegnamento del passato. Per questo abbiamo scelto di ricordare due maestri dell’ambientalismo scientifico che “abitavano il futuro”: Marcello Cini, professore emerito di Fisica alla “Sapienza” di Roma, e Marcello Buiatti, ordinario di Genetica all’Università di Firenze. Come ricorda la professoressa Elena Gagliasso, i due “Marcelli” ci hanno insegnato che la scienza non è mai neutrale. Ma neanche un’opinione.