“Colpevoli di ecocidio”, le responsabilità italiane nella deforestazione dell’Amazzonia

Sono cinquecento, fra case madri e consociate, le aziende italiane che operano nel Mercosur – il mercato comune composto da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay – con cui l’Unione europea nel giugno 2019 ha firmato un trattato commerciale controverso e non ancora ratificato. Con il nuovo rapporto “Colpevoli di ecocidio”, la campagna #StopEuMercosur elenca numeri e tendenze della presenza italiana nei Paesi coinvolti, elencando i principali soggetti economici che potrebbero guadagnare da un via libera definitivo all’accordo.

Per quanto riguarda l’Italia, a beneficiare dei guadagni promessi dalle liberalizzazioni contenute nel trattato UE-Mercosur potrebbe essere un pugno di soggetti già presenti nell’area con grandi investimenti: da Enel per il settore energetico, al gruppo Ferrovie per le infrastrutture, Salini Impregilo per le grandi opere, giganti dell’agroalimentare come Ferrero e Barilla, FCA per l’automotive, Fincantieri, Saipem, Terna, le banche come Intesa, Unicredit e Ubi. Tra i settori che potrebbero avere i più grandi guadagni quello dei macchinari industriali, dei servizi, dell’automotive, dell’agroalimentare e della chimica e delle telecomunicazioni. Seguono l’edilizia, l’abbigliamento, i trasporti e l’energia.
Ma i loro guadagni potenziali vanno messi a confronto con il fatto che, stando all’analisi sul trattato commissionata dal Governo francese e analizzata nel report “Colpevoli di ecocidio” la deforestazione dell’area Amazzonica, che garantisce il 20% del ricambio d’ossigeno del Pianeta, potrebbe crescere tra il 5% e il 25% l’anno per i 6 anni successivi alla sua approvazione, e solo per le maggiori esportazioni di carne bovina previsti dal trattato Ue-Mercosur.

La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è aumentata costantemente dal 2012, e con la
presidenza di Bolsonaro è già aumentata del 54%. Le emissioni nel solo 2019 sono salite del 9,6%, portando il Brasile a fallire gli obiettivi climatici per il 2020 e mettendolo sulla buona strada per mancare anche quelli al 2025.
Se la Francia e l’Austria si sono dichiarate contro il trattato, e la cancelliera Merkel fa argine alle pressioni che riceve dal settore meccanico e automobilistico, le confindustrie tedesca, francese e soprattutto italiane, le più grandi nella famiglia di Business Europe, chiedono invece di far presto, anche se il Parlamento europeo ha di recente approvato una risoluzione in cui si dichiara che il trattato “così com’è non è ratificabile”.

“L’Italia ha una presenza antica nell’area amazzonica – chiarisce Monica Di Sisto, autrice del rapporto e portavoce della Campagna #StopEuMercosur – Qui operano le grandi partecipate del settore energetico, meccanico, delle comunicazioni e delle infrastrutture. Diciamo al Governo italiano che l’Amazzonia non deve essere terra di libero sfruttamento per i colossi italiani, nonostante la compiacenza e l’incoraggiamento delle istituzioni locali. Abbiamo la responsabilità di fare leva sui mercati globali che sostengono l’economia brasiliana, in particolare il suo settore agroalimentare fortemente legato all’export, per fermare l’ecocidio e non esserne complici”.

Il Governo italiano al momento non si schiera: trapela che sia in corso una valutazione costi-benefici da parte del Ministero degli Esteri, senza consultazioni previste con la società civile. Ma 200 economisti di tutto il mondo, con una lettera aperta, hanno denunciato la sproporzione tra presunti vantaggi e danni certi provocati dal trattato chiedendo alla Commissione Europea di rifare una valutazione che tenga conto dei danni economici, sociali ed economici portati dal Covid e cambi paradigma negli scambi internazionali. “Ci sono tutte le ragioni per fermare subito questo trattato e aprire presso il Maeci un meccanismo di valutazione complessiva e partecipata delle politiche commerciali europee e dei loro riflessi su economia, società e ambiente del nostro Paese che includa le rappresentanze della società civile, sei sindacati, e non solo della parte datoriale. Un tavolo che era attivo informalmente presso il Mise dal 2001 e che con il trasferimento delle competenze sul commercio internazionale presso gli Esteri è stato cancellato senza spiegazioni”, ricorda Monica Di Sisto.

Alcuni dati denunciati nel rapporto “Colpevoli di ecocidio”
Su circa il 20% delle esportazioni di soia e su almeno il 17% delle esportazioni verso l’UE di
carne bovina proveniente da Amazzonia e Cerrado, grava l’ombra della deforestazione
illegale. Un quinto delle 53 mila aziende che producono soia in Amazzonia e nel Cerrado l’hanno coltivata su terreni deforestati dopo il 2008, contro la legge. Ma le multe sono inesistenti o irrisorie, così come i controlli. Questa impunità è favorita da una connivenza dei paesi importatori, come l’Unione europea, quasi totalmente incapace di tracciare le filiere e priva di un reale sistema di controllo doganale e sanzione.
L’Italia è al secondo posto dopo la Germania e prima di Olanda, Spagna, e Regno Unito, tra i principali destinatari del 41,1% delle 140.243 tonnellate di carne bovina esportata dal Brasile in Europa. È il quarto importatore dopo Germania, Olanda e Grecia del 20,5% delle 69.996 tonnellate provenienti dal Brasile, il primo delle 52.462 tonnellate provenienti dall’Uruguay e il quinto delle 8.268 tonnellate vendute all’UE dal Paraguay. L’Italia, dunque, è fortemente corresponsabile della deforestazione e delle violazioni dei diritti umani e ambientali connessi all’attività dell’allevamento nell’area. Paesi Bassi, Spagna, Germania e Italia sono anche i principali acquirenti di soia nell’UE: importano più dell’80% della soia che entra nell’Unione.

L’Italia, inoltre, è molto attiva nell’export nell’area di pesticidi e farmaci per gli allevamenti che verrebbe reso dal trattato più semplice ed economico. Il Brasile consuma circa un milione di tonnellate di pesticidi l’anno: consente l’uso di 500 formulati diversi, 150 dei quali sono vietati nell’UE e la situazione è peggiorata da quando Jair Bolsonaro si è insediato. Tra gennaio e luglio 2019 sono stati approvati 290 nuovi prodotti chimici per l’agricoltura (triplicando il numero di pesticidi approvati nello stesso periodo degli anni precedenti). Altri 530 sono in attesa di autorizzazione.
Con l’abbattimento dei controlli e delle ispezioni che risulta chiarissimo dalla lettera del trattato, sarà più difficile scoprire partite di alimenti contaminati provenienti dal Mercosur. La sicurezza dei consumatori è dunque compromessa dalle politiche commerciali dell’Unione europea, che adotta un doppio regime per definire la qualità e la sostenibilità di ciò che produce entro i confini continentali e di ciò che invece importa dall’estero.
E dire che questo non porterà nemmeno grandi benefici economici, come dimostra la stessa valutazione di impatto richiesta dalla Commissione europea alla London School of Economics. Un misero aumento del PIL europeo dello 0,3% entro il 2032 è quanto prefigura lo scenario prudenziale degli esperti londinesi. Ma una lettera firmata da quasi 200 economisti di fama internazionale sconfessa questo studio, basato su un modello econometrico inaffidabile e superato, che a priori considera sempre positivi gli effetti delle liberalizzazioni, inficiando i calcoli.

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