Discarica Kosovo

Dal mensile: l’inchiesta. Il più piccolo degli Stati nati dall’ex Jugoslavia è sommerso dai rifiuti. Abitato da neanche due milioni di persone, conta circa 1.500 centri abitati e 1.572 siti di smaltimento illegali

di MARCO CARLONE E DANIELA SESTITO

La strada verso i monti Sharr sale aggrovigliandosi sul fianco della montagna. Volgendo lo sguardo verso il basso si scorgono piccole le case di Prizren, la seconda città del Kosovo. Di fronte si innalzano le vette del Parco nazionale Malet e Sharrit, che segnano da un lato il confine con l’Albania, dall’altro quello con la Macedonia. Poi, dietro l’ennesima curva, il bosco si apre e rivela uno scivolo di terra battuta scavato lungo il versante. Prima ancora della vista, è l’odore che sale a far intuire di che cosa si tratti. Incuneati in un avvallamento quintali di spazzatura giacciono circondati dagli abeti: vengono lanciati direttamente dalla strada statale, restano lì, ammassati, senza alcun dispositivo di protezione. Ma non si tratta di un caso isolato: è solo una delle centinaia di discariche illegali disseminate per la piccola repubblica post jugoslava. Il Kosovo ha un grande problema con lo smaltimento e la gestione dei rifiuti. Abitato da meno di due milioni di persone, distribuite su una superficie pari a quella dell’Abruzzo, il Paese conta 38 municipalità per circa 1.500 centri abitati. Secondo un report del 2018 a cura dell’Ammk, l’agenzia nazionale per la protezione ambientale, sarebbero 1.572 le discariche illegali sparse fra aree urbane e rurali dell’intero Kosovo. Una per ogni centro abitato, praticamente.

Recuperare lo scarto


Secondo il ricercatore Besfort Kosova della Balkan green foundation, un’ong con sede nella capitale Pristina che si occupa di sviluppo sostenibile, le discariche illegali sarebbero addirittura più numerose: 2.300. Siti che ospiterebbero in prevalenza rifiuti edili e domestici. «Quello dei rifiuti è un problema molto complesso, che parte dai comportamenti dei singoli fino ad arrivare alle istituzioni – sostiene Kosova – In moltissime località, soprattutto nelle aree rurali, la raccolta dei rifiuti è stata introdotta solo di recente. Prima di allora, per migliaia di abitanti, c’erano solo due opzioni per liberarsi dei rifiuti: creare delle discariche illegali o gettare la spazzatura direttamente nei fiumi». Una forma di smaltimento totalmente incontrollata, che da anni inquina terreno e acque, provoca un’alterazione degli ecosistemi e delle sostanze nutritive per gli animali selvatici, disperde microplastiche e sostanze tossiche. A denunciare questa situazione non sono però più soltanto gruppi di ambientalisti locali o di attivisti per la tutela del territorio. Nel 2013 il ministero per l’Ambiente ha dato avvio a una strategia nazionale (2013-2022) per la gestione dei rifiuti: un piano di allineamento alle legislazioni in vigore nell’Unione Europea e di sensibilizzazione della comunità nazionale. In un report pubblicato a gennaio 2018, tuttavia, l’Agenzia europea dell’ambiente riportava che “il sistema di gestione dei rifiuti in Kosovo non è né efficiente né ben sviluppato”. Per l’agenzia, in Kosovo non ci sono misure sufficienti al trattamento e al riciclo dei materiali di scarto, le infrastrutture sono carenti, manca un monitoraggio delle attività e scarseggiano anche gli investimenti necessari a invertire la rotta. Sempre secondo il rapporto, l’assenza di cooperazione fra le istituzioni inoltre fa sì che le autorità locali fatichino a fornire i servizi di base, sia nelle aree rurali che in quelle urbane.

Impegno per pulire

Il risultato di questa inerzia salta subito all’occhio viaggiando sulle strade che collegano i maggiori centri del Paese, o semplicemente guardando i laghi, dove spesso i rifiuti si depositano ricoprendo ampie parti della loro superficie. «Queste discariche illegali si trovano ovunque negli spazi pubblici: vicino alle strade, nei centri abitati, ma anche sulle montagne e lungo i fiumi», sostiene il presidente di Ta Pastrojmë Kosovën (Let’s do it! Kosovo), Luan Hasanj. Dal 2012 l’associazione di Hasanj lavora per ripulire le aree delle discariche illegali e, più in generale, i tanti luoghi dove viene abbandonata la spazzatura. «Molti di questi siti vengono creati da persone che smaltiscono i rifiuti lavorando come “corrieri” per conto terzi – riprende – mentre in alcuni casi sono direttamente le imprese edili a non rispettare le normative, gettando i loro scarti nelle aree pubbliche». Secondo uno studio del 2019 curato dall’Università tecnica di Berlino, questo fenomeno è fortemente correlato con la crescita del settore edilizio nazionale, avvenuta in particolare negli ultimi cinque anni. In base ai dati della Commissione europea, l’edilizia in Kosovo rappresenta l’8,5% del Pil nazionale e fornisce circa il 13% dei posti di lavoro di tutto il Paese. Tuttavia, sebbene il ministero dell’Ambiente abbia emanato diverse leggi relative alla regolamentazione dei permessi di costruzione e demolizione, nessuna norma impone di stimare la quantità di rifiuti edili prodotti. A ciò va ad aggiungersi la quasi totale assenza di aziende autorizzate a gestire gli scarti di costruzione e demolizione, nonché di apposite discariche designate per lo smaltimento. «Mancano anche multe adeguate per chi trasgredisce – denuncia Hasanj – Abbiamo controllato le sanzioni amministrative e abbiamo scoperto che ad agosto, per esempio, in tutto il Kosovo sono state inflitte soltanto quattro multe».

Una questione capitale

 

Secondo il ricercatore Besfort Kosova della Balkan green foundation, un’ong con sede nella capitale Pristina che si occupa di sviluppo sostenibile, le discariche illegali sarebbero addirittura più numerose: 2.300. Siti che ospiterebbero in prevalenza rifiuti edili e domestici

L’attività di Let’s Do it! Kosovo si sviluppa tanto nelle periferie dei centri a maggiore densità abitativa quanto nei parchi nazionali, nelle aree protette e lungo i bacini idrici. Infatti, secondo il rapporto “I fiumi neri del Kosovo”, pubblicato lo scorso febbraio dall’ong Kosova democratik institute, i principali fiumi e laghi dello Stato sono talmente contaminati dai rifiuti, dalle acque reflue e dagli scarichi industriali che “risulta impossibile utilizzare la loro acqua come fonte di approvvigionamento idrico e, in alcuni casi, per l’irrigazione”. Un caso fra tutti è quello del lago di Gazivoda, situato nei pressi del confine nordoccidentale con la Serbia, che fornisce acqua potabile a più di un terzo dei kosovari. «Ma sono persino le aree di stoccaggio ufficiali, come quella di Mirash, alle porte di Pristina, a essere problematiche», riprende Kosova della Balkan green foundation. La discarica della capitale non sarebbe dotata di alcun sistema di protezione. «Qui la spazzatura viene semplicemente portata, depositata e schiacciata dai bulldozer. Tutto il percolato finisce direttamente nel fiume Sitnica, che si trova solo a poche centinaia di metri e fluisce verso il nord e la Serbia – insiste il ricercatore – Negli ultimi anni la situazione sta lentamente migliorando, ma i risultati ancora si stentano a vedere. Se continuiamo di questo passo il rischio è di dover aspettare trent’anni per avere un progresso reale di questa situazione».

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