Dieta mediterranea, una lente per il futuro

Patrimonio Unesco dal 2010, il nostro modello nutrizionale è fondato su un regime vario ed equilibrato a base di vegetali e prodotti a km0

di Valerio Calabrese – direttore Museo vivente della dieta mediterranea

È ormai chiaro a tutti che il cambiamento climatico si può contrastare anche a tavola, attraverso l’adozione di diete più sane e sostenibili e con la riduzione delle perdite e degli sprechi di cibo. In questo senso, un modello di riferimento è senza dubbio la dieta mediterranea, già patrimonio Unesco dal 2010, fondata su un regime vario ed equilibrato, a base di vegetali, e sulla scelta di prodotti stagionali a km 0. Per toccare con mano i benefici di questo stile di vita basta visitare la sua patria per eccellenza, il Cilento, terra di centenari. E fare un salto a Pioppi al Museo della dieta mediterranea, gestito da Legambiente e nato come tributo del Comune di Pollica ad Ancel Keys, biologo statunitense che visse lì per quarant’anni portando avanti i suoi studi sulla dieta mediterranea.

La struttura museale, che ospita anche il Museo vivo del mare, è a tutti gli effetti luogo di divulgazione ed educazione alimentare, con un’esposizione permanente, laboratori e manifestazioni, una su tutte l’annuale “Festival della dieta mediterranea”. Ognuno di noi può fare tanto per contribuire a un mondo più sostenibile, migliorando allo stesso tempo la qualità della propria vita. A spiegarlo bene è la Fao con i suoi dodici consigli per un’alimentazione sostenibile, fra cui: scegliere prodotti vegetali; mangiare in modo vario; consumare cinque porzioni di frutta e verdura al giorno; limitare il consumo di cibo confezionato; aumentare l’apporto di cereali integrali ed evitare bibite zuccherate. L’emergenza legata al Covid-19 ha avuto fra gli effetti quello di accelerare il processo di revisione degli stili alimentari. Secondo il rapporto “Coop 2020”, quasi un consumatore su due è oggi intenzionato ad acquistare prodotti made in Italy sostenibili (42%) e salutari (38%). Bisogna allora incoraggiare queste tendenze, accompagnandole a programmi strutturali per far sì che il consumo di cibo sostenibile diventi sempre più diffuso e meno “elitario”.

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