Dale Jamieson: “Serve una nuova etica ambientale”

La sfida che abbiamo di fronte non è soltanto quella di ridurre le nostre emissioni. Per il filosofo Dale Jamieson vanno ripensati radicalmente gli strumenti concettuali di cui ci dotiamo per agire

Dal mensile di ottobre. A quasi tre anni dalla nascita dei Fridays for Future, gli Stati Uniti sono rientrati negli Accordi di Parigi, l’Unione Europea ha una legge per dimezzare le sue emissioni nel prossimo decennio e la Cina promette la neutralità climatica entro il 2060: riusciremo dunque a mantenere la temperatura al di sotto di 1,5 °C rispetto all’era preindustriale? A dubitarne da tempo è il professore di Filosofia e Studi ambientali della New York University, Dale Jamieson, che ne Il tramonto della ragione (pubblicato nel 2014 ma tradotto in italiano soltanto ora dalla Treccani) ha analizzato i molti ostacoli che sembrano rendere impossibile per la nostra specie comprendere e risolvere “il più grande problema di azione collettiva mai affrontato dall’umanità”, per usare le parole dello stesso autore.  

Il libro si apre con una disamina dei trascorsi scientifici e politici della questione, perché secondo Jamieson per comprendere un fenomeno così complesso è necessario avere la percezione della storia di cui è parte: dal Summit di Rio del 1992 al Protocollo di Kyoto, passando per l’istituzione dell’Ipcc con i suoi report, l’autore traccia un’affascinante ricostruzione della lenta presa di consapevolezza scientifica, a cui però non ha corrisposto una responsabilità politica collettiva.  

Ma perché è tanto complicato comprendere e affrontare radicalmente la questione? Il filosofo prova a rispondere elencando una serie di “ostacoli all’azione”, tra cui sullo sfondo spicca l’evoluzione: “Madre Natura non ci ha allevati per risolvere, e nemmeno per riconoscere, questo tipo di problema”, scrive, perché se per noi il pericolo sono grandi oggetti che si muovono rapidamente, non è certamente di questa natura un rischio come quello rappresentato dal cambiamento climatico, che deve invece essere pensato su scale spaziali, temporali e causali molto complesse e poco ordinarie. Sono anche gli strumenti concettuali di cui ci dotiamo per agire – economia, etica e politica – che di fronte a tanta complessità mostrano profondi limiti e inadeguatezze. La teoria economica si rileva insufficiente non solo nei suoi calcoli – non riesce infatti a raggiungere un accordo sul valore della carbon tax – ma anche, e soprattutto, nel mostrarci quali siano le politiche giuste per affrontare questa sfida. L’etica invece, nella sua formulazione che è patrimonio comune e che lega direttamente colpa a danno, non riesce a comprendere forme di responsabilità complesse come quella di prendere l’auto o l’aereo, azioni ad oggi non considerate immorali. Dale Jamieson tenta così di elaborare un’etica per l’Antropocene, tratta dalla saggezza tradizionale e imperniata nelle virtù dell’umiltà, della temperanza e della mindfulness, la consapevolezza delle conseguenze delle nostre azioni. 

Dovremmo dunque fare di necessità virtù e imparare a convivere con il cambiamento climatico? A dircelo è la Cop26 di Glasgow, per riprendere il testimone della diplomazia climatica interrotta a causa della pandemia: l’occasione per vedere se a vincere saranno i tribalismi locali e nazionali da cui ci mette in guardia Telmo Pievani nella presentazione al libro. 

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