Coronavirus, a marzo vendute l’85% di auto in meno

Coronavirus auto

L’effetto evidente e immediato dell’epidemia è stato il rallentamento prima e l’immobilità della gran parte della popolazione poi. Evidente. Un po’ meno evidente, forse anche più interessante, è capire come e quanto si è spostato chi è stato comunque obbligato a muoversi (per lavoro, per fare la spesa, per motivi di forza maggiore) e se e come, chi ha smesso di spostarsi, riprenderà poi le abitudini di prima.

La conferenza stampa del primo aprile di Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri) è stata una di queste occasioni. Perché Michele Crisci, presidente di Unrae, non si è limitato a presentare le prime conseguenze della crisi Covid-19 sulle vendite di auto nel mese di marzo (-85% sullo stesso mese dell’anno scorso), ma ha cercato di prefigurare quel che succederà a fine anno e formulare proposte al governo. Se l’anno scorso si sono vendute 1,9 milioni di auto nuove, in questo 2020, già aperto con il segno meno, dopo la pandemia le vendite rischiano di non superare 1,3 milioni. Servirà un aiuto da parte del governo, ecobonus e meno tasse, per cercare di contenere un calo di mercato. E, sin qui, nessuna novità.

La novità sta nelle proposte: incentivo non solo per elettrico e plug-in, come già il governo aveva concesso nel 2019, ma anche per le auto a basso consumo (meno di 95 grammi di CO2 a km). Quindi le migliori ibride (o full hybrid come le ha battezzate a suo tempo Toyota) e alcuni sparuti modelli di city car benzina, gasolio o metano: per intenderci, sì la parsimoniosa Up di Volkswagen, ma non quasi tutte le Panda (una sola a benzina) di oggi, che Fca costruisce spartana ma non efficiente come una volta.

Come mai 95 grammi? Semplice, le case auto che alla fine dell’anno venderanno in tutta Europa auto nuove mediamente superiori ai 95 grammi di CO2, pagheranno una multa proporzionale ai grammi e al numero di auto vendute. Interessante che – finalmente! – le case auto la smettano di puntare sulla deregulation ambientale e chiedano incentivi solo per chi rispetta gli standard climatici fissati dall’Europa. Bene. Siamo dell’idea che il criterio debba essere simile per le flotte aziendali: sconti fiscali, come nel resto d’Europa, ma solo per le auto elettriche. In Francia le flotte (sia servizi pubblici che imprese private) hanno quote obbligate di elettrico.

Meno auto in circolazione, ma il più possibile pulite. Auto meno vecchie, ma più utilizzate, perché più piene – condividendo viaggi – e perché in condivisione tra più utenti, nella stessa società, nella stessa città, nella stessa comunità.

Ma il calo delle vendite di auto nuove, per effetto della crisi, favorisce ancora l’elettrico puro (quello a zero emissioni), unico segmento di vendite con il segno positivo (mille auto vendute, contro le 600 del marzo 2019), ma non favorisce certo la rottamazione e il ricambio del mostruoso e antiquato parco auto in circolazione in Italia: 39 milioni, più delle patenti di guida, 25 milioni di queste da Euro 4 in giù, quindi altamente inquinanti.

E dopo la pandemia, andremo più o meno in auto? Oggi, nel pieno della crisi, l’impressione è che in alcune città si esce – quel poco – soprattutto a piedi, in bici e persino con i pochi e vuoti mezzi pubblici a disposizione. A Milano si sono dovute intensificare le corse della metropolitana nelle ore di punta per aumentare la distanza tra i passeggeri. In auto non si può stare in più di due per mantenere le distanze. Ma ci sono città che hanno sospeso il trasporto pubblico per evitare il contatto tra le persone, come la metropolitana di Catania, usata d’abitudine soprattutto dagli studenti universitari, quindi deserta una volta sospese le lezioni. Gli autonoleggi lavorano pochissimo e i servizi di car sharing (Drive Now) hanno quadruplicato la pulizia e la disinfezione delle auto. Ma con la ripresa delle attività e degli spostamenti che succederà?

Senz’altro si ridurrà la mobilità di lavoro. Lo smart working (o lavoro agile) è stata una costrizione in questo periodo per il lavoratore, ma per molte organizzazioni, enti, società, scuole, l’esperienza si consoliderà e si rafforzerà. Euromobility, l’associazione partecipata da molto mobility manager, ha lanciato una campagna nazionale per lo smart working.

Ma non è detto che una minor mobilità di lavoro, “obbligata”, ridurrà gli spostamenti di ciascuno, i viaggi complessivi. Cambierà orari, chilometri percorsi, comportamenti e stili di mobilità. E non è poco.

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