Clima e plastica minacciano il plancton

Il plancton è fondamentale per la vita sulla Terra ed evita l’accumulo di CO2 in atmosfera

 

di DOMENICO D’ALELIO *

Il plancton è minacciato dal cambiamento globale. Ma quando parliamo di minacce riferendoci al plancton dobbiamo stare attenti a non generalizzare. Il plancton, inteso come insieme di organismi, esiste da prima della comparsa dei dinosauri sulla Terra e sopravvivrà anche agli esseri umani, perché la sua forza è nella capacità di cambiare, evolversi e adattarsi ai cambiamenti a larga scala che il nostro Pianeta attraversa da quando esiste. In ragione di ciò, più della effettiva scomparsa del plancton, ciò che più preoccupa è il concreto e rapido cambiamento in atto all’interno delle comunità planctoniche – la diminuzione o l’aumento di alcune tipologie di organismi rispetto ad altri – perché tali cambiamenti mettono a rischio la stabilità del clima e la produzione delle risorse che utilizziamo.

Il plancton è fondamentale per la vita. Quello vegetale, o fitoplancton, attraverso la fotosintesi emette la metà dell’ossigeno che respiriamo e produce carbonio organico, la base del metabolismo degli esseri viventi, uomini compresi. Inoltre il plancton contrasta l’accumulo in atmosfera dell’anidride carbonica. Come? In generale il carbonio organico prodotto dal fitoplancton viene “trasferito” agli animali di grandi dimensioni come cibo, prima al plancton animale, o zooplancton, poi ai pesci. Questo carbonio viene digerito e usato per produrre energia e viene riportato in atmosfera in forma gassosa attraverso la respirazione. Tuttavia una buona parte del carbonio planctonico non viene usato come cibo e affonda negli abissi oceanici, dove viene “stoccato”. Grazie a questo meccanismo, detto “pompa biologica del carbonio”, viene evitato l’accumulo di anidride carbonica in atmosfera.

La prima preoccupazione che gli scienziati manifestano è quindi quella per i cambiamenti in atto nel fitoplancton. Nel 2010 un’analisi di dati oceanografici pubblicata su Nature dimostrava che il fitoplancton ha subito una diminuzione a scala globale di circa l’1% annuo nel corso dell’ultimo secolo. Un trend in linea con l’aumento della temperatura dell’acqua alla superficie dell’oceano. È stato dimostrato che le cause della diminuzione del fitoplancton erano rintracciabili nell’aumento della “stratificazione” delle masse d’acqua oceaniche, dovuta all’aumento della temperatura superficiale: l’acqua più calda tende a ristagnare al di sopra di quella più fredda e il mancato rimescolamento impedisce alle sostanze minerali, necessarie alla fotosintesi, di risalire dalle profondità e arrivare alla superficie del mare, nella zona dove la maggior disponibilità di luce promuove la fotosintesi stessa. In una simile condizione sono favorite specie più piccole e ciò determina una diminuzione della quantità di carbonio inclusa nel fitoplancton stesso.

I modelli oceanografici dicono anche che la diminuzione di fitoplancton sarà più marcata negli oceani tropicali, con conseguenze negative sulla produttività ittica di ampie regioni dove le popolazioni costiere e insulari basano la propria vita su una pesca di sussistenza. D’altro canto, in virtù dell’aumento delle temperature superficiali, oceani polari e sub-polari vedranno un aumento di produttività planctonica. Questa possibilità è stata confermata dalle osservazioni raccolte negli ultimi cinquanta anni nel Nord Atlantico. Ciononostante, l’aumento di fitoplancton nelle regioni più pescose non necessariamente significa più cibo planctonico da “trasferire” ai pesci più grandi. Perché il “nodo di collegamento” tra fitoplancton e pesci, ovvero lo zooplancton, subisce anch’esso gli effetti dell’aumento di temperatura degli oceani.  

Un gruppo importante di zooplancton è rappresentato dai copepodi, microscopici crostacei considerati il cibo principale di acciughe e sardine, perché ricchi di lipidi. Nel pescoso Mare di Bering, alcuni copepodi del genere Calanus arrestano durante l’inverno il proprio sviluppo e non si muovono né si alimentano, ma si nutrono utilizzando le proprie riserve. Questa strategia vitale è messa in atto poiché durante il buio inverno polare il fitoplancton è praticamente assente. Durante gli inverni eccezionalmente caldi, però, i tassi metabolici di questi animali non sono abbastanza rallentati, ed essi esauriscono le proprie riserve energetiche a fine dicembre, non sopravvivendo così fino alla primavera, quando il cibo vegetale torna disponibile. In altri casi, il declino dei copepodi è legato a cambiamenti nella tipologia di cibo disponibile, a sua volta mutato a causa di fattori ambientali. Per esempio nel Long Island Sound (Usa) è stata dimostrata un’importante diminuzione di copepodi durante estati soggette a perduranti ondate di calore: l’aumento di temperatura dell’acqua favorisce il fitoplancton di piccole dimensioni che non è predato in maniera efficiente dai copepodi, poiché passa attraverso le loro appendici boccali e non viene catturato.

Restando ai crostacei planctonici, stavolta di dimensioni maggiori dei copepodi, il kryll antartico ha subito un netto declino nel corso dell’ultimo secolo. Le aree di riproduzione e di nursery degli stadi giovanili di questi crostacei si trovano nel settore occidentale della Penisola Antartica, dove la banchisa di ghiaccio marino, che fornisce cibo e riparo alle larve di kryll, ha subìto una cospicua regressione. La diminuzione del kryll in Antartide è stato invece accompagnato dall’aumento di Salpa thompsoni, organismi planctonici gelatinosi a forma di “barilotti” e che arrivano anche a 10 cm di lunghezza. Le “salpe” si nutrono filtrando l’acqua e trattenendo particelle alimentari di piccole dimensioni presenti a densità anche piuttosto ridotte. Rispetto ai crostacei, le salpe sono meno nutrienti per gli animali di maggiori dimensioni, anche se molte specie marine se ne nutrono. Tuttavia, le salpe sono in generale meno abbondanti poiché hanno cicli vitali meno regolari rispetto a molti crostacei planctonici, i cui picchi di abbondanza coincidono proprio con i periodi di schiusa delle uova dei pesci pelagici.    

In aggiunta al cambiamento climatico, il plancton è minacciato anche dall’inquinamento, dalle microplastiche (scambiate per particelle alimentari), abbondantissime nel Mediterraneo, fino all’acidificazione delle acque dovuta alla eccessiva dissoluzione di anidride carbonica negli oceani. Tuttavia, se da un lato alcune specie presenti nel plancton sono in pericolo, altre paiono essere favorite dai cambiamenti in atto nel nostro Pianeta. Appaiono in espansione a livello globale meduse e ctenofori, ovvero plancton gelatinoso di grandi dimensioni che però si comportano come predatori nei confronti degli organismi planctonici di dimensioni inferiori, comprese le larve di pesci.

Se molte delle cause dei cambiamenti in atto nel plancton discendono da interpretazioni scientifiche basate su osservazioni sperimentali, gli effetti di tali cambiamenti ancora sfuggono. Ma investigarli è d’obbligo, data l’importanza del plancton per le nostre vite.

* PhD, Dipartimento Ecologia integrata marina, Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli

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