Antonio Nicoletti: “Fruire la natura con il senso del limite”

Pollino

Mentre commentiamo non sono ancora certi i numeri delle vittime, dei dispersi, di quanti gruppi organizzati o di visitatori autonomi erano presenti nel letto del torrente Raganello, nel versante calabrese del Pollino, teatro lo scorso 20 agosto di una tragedia. Erano uomini, donne e persino bambini, attratti dalla particolarità di quei luoghi selvaggi e impervi, e per questo luoghi pericolosi e fragili da affrontare con cautela e preparazione.

Escursionisti organizzati o no che fossero, non importa, oltre una decina di visitatori che il 20 agosto avevano scelto di visitare le famose Gole del torrente Raganello, hanno perso la vita per vivere una esperienza in natura. Ma non è la natura matrigna, crudele e indifferente, che in questo caso ha causato sofferenze all’uomo. No non è cosi. La natura ha le sue regole e deve essere vissuta e fruita tenendo conto delle limitazioni che essa stessa pone, e del buon senso che ognuno di noi deve sapere mantenere in questi casi.

Comunque, pur essendo ancora tante le cose incerte e non chiara la dinamica di questo luttuoso evento, una causa è certa ed è la sottovalutazione.

La sottovalutazione del rischio, e la non consapevolezza di frequentare luoghi difficili è evidente in questo caso, oltre alla inadeguata informazione e formazione per poter valutare le conseguenze dell’allarme meteo che il giorno prima era stato diramato dalla protezione civile, come accade da settimane su tutto l’appennino meridionale Pollino compreso. Sottovalutazione del rischio che, a quanto pare, ha riguardato persone esperte e non visto che tra le vittime finora accertate c’è anche una guida che lavorava con un tour operator calabrese.

Ma non tutti hanno sottovalutato il rischio: tante altre guide esperte che hanno accompagnato i visitatori, nella tarda mattinata e nel primo pomeriggio hanno interrotto le visite alle gole in coincidenza con quanto l’allerta meteo della protezione civile aveva diramato. E forse si è evitata una tragedia ancora più grande perché queste guide hanno interrotto le visite.

Qui sta uno dei problemi che fatti come questi fanno emergere. Si può lasciare al singolo la valutazione del rischio che si corre per una escursione in natura, visto che in natura il rischio zero non esiste?

Qual è il limite che bisogna sempre tenere presente nello svolgere attività negli spazi naturali, è un tema sul quale noi ci stiamo interrogando da un po’ di tempo, anche alla luce di alcuni incidenti che hanno riguardato persone che visitavano aree naturali protette. Ci stiamo interrogando su come garantire, da una parte la fruizione e la sicurezza dei visitatori, e dall’altra l’equilibrio di questi ambienti naturali, spesso unici e per questo molto interessanti da visitare, che devono essere vissuti con attenzione e sicurezza. Una domanda che ci poniamo anche alla luce della crescente richiesta di svolgere attività outdoor da parte di molti turisti che, oltre a visitare i luoghi, preferiscono vivere concretamente quei luoghi. Ovviamente si deve trattare di pratiche outdoor possibili da fare in questi ambienti per la gran parte protetti e regolamentati, e secondo i criteri del turismo attivo e sostenibile che è la nuova frontiera dell’ecoturismo che, oltre a crescere in maniera significativa, crea circuiti economici virtuosi per molte comunità locali che hanno investito nella tutela dei loro territori.

Siamo convinti che la fruizione della natura deve essere libera, ma si deve anche tenere conto dei limiti che la visita  deve osservare  in alcuni ambienti particolari e perciò, spesso, si deve ricorrere a regolamentare o limitare gli accessi in natura per garantire la tutela della biodiversità. Succede già nel nostro Paese che, per esigenze di tutela di alcune specie, si inibisca o limiti in maniera radicale la presenza umana in alcuni luoghi. Capita di non poter fruire di alcuni sentieri per esigenza di tutela del camoscio appenninico in alcuni periodi particolari, che non si utilizzino delle vie ferrate per l’arrampicata per tutelare la nidificazione del lanario o di altri uccelli rupicoli, che sia vietato il rafting in zone di frega della trota o per tutelare anfibi e altre specie acquatiche.

Le nostre aree protette, d’accordo anche con le associazioni, le guide e gli operatori turistici, in molte situazioni regolamentano gli accessi e persino fanno pagare dei ticket per fruire della  natura in sicurezza e per garantire l’integrità di questi luoghi. Perché sul Raganello tutto ciò non è avvenuto, nonostante da più parti venissero richieste per regole e comportamenti più virtuosi, ancora non lo sappiamo e per il momento aspettiamo il conteggio delle vittime e dei superstiti oltre al classico scarica barile delle responsabilità.

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