Gli effetti del riscaldamento globale sugli animali

Dal mensile – Le estremità delle specie omeotermi stanno diventando più grandi per migliorare la termoregolazione nel clima che cambia. Con conseguenze imprevedibili sugli ecosistemi, avverte uno studio australiano

Dumbo era piccolo, eppure le sue orecchie erano enormi. A lui è andata bene, a forza di sbatterle ha imparato a volare. Ma perché gli elefanti hanno i padiglioni auricolari così grandi? E perché li muovono così frequentemente? A queste e molte altre domande risponde la regola di Allen, pietra miliare della biologia, formulata da Joel Asaph Allen nel 1877. Il postulato afferma che tra gli animali omeotermi, che cioè riescono a mantenere costante la propria temperatura corporea, quelli adattati ai climi caldi hanno arti e appendici corporee più grandi rispetto ai loro corrispettivi adattati ai climi freddi. Questo perché, in assenza di sistemi di sudorazione, avere un’ampia rete di vasi capillari vicini alla porzione superficiale della pelle li aiuta ad allontanare il calore corporeo in eccesso. L’elefante africano (Loxodonta africana) ha infatti orecchie tipicamente più grandi del suo “cugino” asiatico (Elephas maximus indicus). In altre parole, il rapporto tra la superficie e il volume delle appendici corporee varia con la temperatura media dell’habitat a cui gli animali si sono adattati: deve mantenersi basso nei climi freddi, alto in quelli caldi. Basti pensare alle lunghe orecchie dei fennec del deserto (Vulpes zerda), che misurano fino a 15 centimetri su corpi alti 35 in totale, e a quelle corte e tondeggianti degli orsi polari, che sembrano in buffo contrasto con la loro grande massa. Un’eccellente prova di termoregolazione. Se il complesso meccanismo si inceppa, un surriscaldamento eccessivo può provocare potenzialmente danni molto seri. E nei casi più gravi condurre alla morte.

Elefanti africani
Elefanti africani (Loxodonta africana)

Corpi in trasformazione

Sono funzionali alla termoregolazione tutte le porzioni corporee non isolate termicamente o non coperte da piume, come i becchi degli uccelli e code, ali e zampe dei mammiferi, nei casi in cui siano nude, cioè senza pelliccia. Così, nel corso dei millenni, molte specie dei climi caldi hanno evoluto becchi, zampe e orecchie grandi. Ma ora più che mai, avverte una nuova ricerca dell’Università di Deakin, in Australia, queste caratteristiche stanno diventando più pronunciate a causa del riscaldamento globale in atto. Nello studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Trends in Ecology & Evolution, sono state analizzate le dimensioni delle appendici di animali “a sangue caldo” raccogliendo dati da lavori precedenti, condotti sia in campo che su esemplari da museo. I risultati dimostrano che negli ultimi 150 anni molte specie hanno subito un aumento significativo delle dimensioni delle estremità corporee in risposta al cambiamento climatico. Alcuni pappagalli australiani come il Cacatua gang gang (Callocephalon fimbriatum), per esempio, la cui superficie del becco è aumentata in media del 4-10% dal 1871, o il Junco occhiscuri del Nord America (Junco hyemalis), in cui si è verificato un aumento delle dimensioni del becco in stretta correlazione con le temperature estreme raggiunte in ambienti tipicamente freddi. Non mancano dati interessanti sui mammiferi: nei toporagni mascherati (Sorex cinereus), diffusi in Stati Uniti e Canada, si è verificato un incremento nella lunghezza della coda, mentre nei topi selvatici (Apodemus sylvaticus) un ingrossamento delle orecchie. I pipistrelli ipposideri dell’Himalaya (Hipposideros armiger) invece, già noti per le grandi dimensioni, hanno manifestato un incremento delle ali. Per sfatare proprio ogni dubbio, la prova del nove è giunta da esperimenti di laboratorio, in cui è stato verificato un aumento di dimensioni nella coda e nelle orecchie dei cinghiali (Sus scrofa). E anche i monitoraggi su animali introdotti in ambienti più caldi, come conigli selvatici europei (Oryctolagus cuniculus) in Australia, hanno fatto registrare un aumento nella lunghezza delle orecchie.

Ascolta “Se il caldo tira le orecchie” su Spreaker.

Nuova forma, nuova funzione

Secondo Sara Ryding, prima autrice dell’articolo, «il fatto che gli animali stiano andando verso un cambiamento morfologico non significa che si stiano adattando bene al cambiamento climatico. Significa solo che si stanno evolvendo per sopravvivere, ma non possiamo sapere quali saranno le conseguenze ecologiche di questi cambiamenti». Una nuova forma del becco, per esempio, potrebbe portare a un cambio di dieta nelle specie ornitiche, con implicazioni imprevedibili sui raccolti e le coltivazioni. A ogni modo, serviranno studi più approfonditi per capire se l’incremento di dimensioni sia imputabile unicamente al riscaldamento globale o se esistano altre concause. Per farlo, le prossime ricerche di Ryding e colleghi si concentreranno sulle scansioni tridimensionali di esemplari da museo provenienti da diversi rami evolutivi. «Ci aspettiamo dati in aumento, visto il trend del riscaldamento globale. Parliamo sempre dei suoi effetti sulla nostra vita – insiste la ricercatrice – ma è il momento di riconoscere che anche gli animali devono affrontare questo problema. Gli effetti si stanno verificando su una scala temporale molto più breve di quanto potessimo aspettarci in base ai tempi evolutivi». 

Gli incrementi registrati finora sono piuttosto lenti e sarà difficile notare cambi visibili a occhio nudo in pochi anni. Ma se non si inverte la tendenza, quella di Walt Disney sulle orecchie di Dumbo sarà stata quasi una premonizione. l

| Bibliografia | Shape-shifting: changing animal morphologies as a response to climate warming 

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