I “cia’n”, come vengono chiamati i muretti a secco nelle Cinque Terre, al centro di un progetto che coniuga innovazione, tradizioni e solidarietà. E contrasta anche i cambiamenti climaticidi Ludovica Schiaroli
Dal mensile di settembre – In dialetto li chiamano cia’n, sono i muri a secco che caratterizzano il paesaggio scabro ed essenziale delle Cinque Terre: settemila chilometri lineari costruiti dall’uomo a partire dall’anno Mille per cercare rivi, sorgenti e terre da coltivare. Un’opera monumentale riconosciuta nel 1997 Patrimonio Unesco e, dallo scorso anno, protagonista di un progetto europeo: Stonewallsforlife, ovvero, “muri di pietra per la vita”. Cofinanziato dall’Unione europea nell’ambito del Programma Life “adattamento ai cambiamenti climatici”, prevede il recupero e il mantenimento di circa sei ettari di terrazzamenti e quattromila metri quadrati di muri a secco a Manarola, nel comune di Riomaggiore (Sp), per migliorare la produzione agricola, preservare il territorio e incrementare la capacità di resistenza alle alluvioni. L’anfiteatro di Manarola è infatti il sito pilota scelto per dimostrare come l’adattamento ai cambiamenti climatici e il contrasto al dissesto idrogeologico possono passare anche dall’antica arte dei muri a secco.
«È un piano di interventi tra i più ambiziosi per l’adattamento al cambiamento climatico – racconta Emanuele Raso, geologo e responsabile del progetto per il Parco delle Cinque Terre – Qui non siamo in zona sismica ma la superficie dei versanti è molto sollecitata, vi sono grandi pendenze, a volte basta una pioggia intensa di poche ore per innescare fenomeni idraulici che causano forti erosioni. Il ripristino dei terrazzamenti, con la loro funzione di veri e propri serbatoi per l’acqua piovana, può essere una risposta efficace per l’adattamento climatico». Stonwallsforlife “contrasta” anche il dissesto idrogeologico: gli abitanti delle Cinque Terre non dimenticano la tragedia dell’alluvione del 25 ottobre 2011. «Da quei giorni è nata una nuova consapevolezza – continua Raso – ci si è resi conto che non si poteva tralasciare il problema dei versanti abbandonati e occuparsi solo dei centri storici e delle attività turistiche, e che la simbiosi tra le zone naturali e agricole con i centri urbani doveva ricostituirsi».
Alleanza di saperi
Il progetto riproduce su larga scala ed è ispirato da quanto fatto fino ad oggi dalla Fondazione Manarola, che nasce nel 2014 «senza fini di lucro e per perseguire esclusivamente finalità di solidarietà sociale e tutela ambientale», spiega il vicepresidente Eugenio Bordoni. «Con la Fondazione – aggiunge – abbiamo creato una sorta di mappa dei terreni incolti o abbandonati, li affittiamo dai proprietari e dopo averli puliti, avere risistemato le opere murarie e i canali di scolo, li diamo in affitto (a lungo termine) allo stesso prezzo ad aziende, possibilmente del luogo, che ne garantiscono il mantenimento». Così, quello che era partito in modo sperimentale, poco meno di dieci anni fa, è diventato oggi Stonewallsforlife, un piano che rende possibili interventi mirati ed efficaci grazie all’azione combinata di tutti i partner e al coordinamento dell’Ente Parco. «I ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Genova, attraverso l’installazione di stazioni di monitoraggio multiparametriche, stanno valutando come rendere più resistenti i muri su cui si andrà a intervenire – spiega ancora Emanuele Raso – Legambiente segue la parte legata alla sostenibilità ambientale e alla comunicazione, Itrb Group mette a disposizione la sua esperienza nella redazione di proposte a programmi Ue, mentre il Dipartimento di Barcellona, partner internazionale, ha un ruolo chiave nella replicabilità del progetto in altre aree dell’Unione Europea con condizioni orografiche analoghe».
Un’arte che si rinnova
«Innovazione scientifica e tecnologica sono al servizio di un sapere ancestrale quale è quello della costruzione dei muri a secco per poter coltivare la terra e, quindi, per poter risiedere sul territorio in sicurezza – sottolinea Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria – Ma le attività messe in campo hanno anche una forte valenza sociale, perché riconoscere l’enorme valore culturale di questo paesaggio non basta, per mantenerlo ci deve essere un passaggio di saperi tra le vecchie e le nuove generazioni, e la possibilità che migranti, disoccupati o giovani agricoltori possano portare avanti questa conoscenza imparando un mestiere, mantenendone la memoria, rappresenta un elemento significativo». Nei cinque anni della durata del progetto (2019-2024) sono previsti corsi di formazione sulle tecniche di costruzione dei muri a secco indirizzati a quaranta fra disoccupati e migranti che potranno, successivamente, trovare un impiego sul territorio. Dopo uno stop forzato dovuto all’emergenza sanitaria, le attività di rilevamento nel sito pilota sono ripartite, mentre i corsi per imparare la tecnica di costruzione dei muri a secco sono in fase di riprogrammazione. Il percorso di recupero è ormai partito.