Glifosato, perché l’Epa non dice nulla sui danni ambientali?

Un operatore utilizza erbicidi in un terreno agricolo

La storia del glifosato (o glifosate) è molto complessa, sia per gli enormi interessi economici che smuove essendo l’erbicida più diffuso e usato al mondo per le colture intensive, gli orti e il giardinaggio, e sia per i pareri scientifici discordanti rispetto ai rischi per la salute dell’uomo e dell’ambiente.

“Dall’Epa, Agenzia statunitense per l’ambiente – dichiara Daniela Sciarra, responsabile del dossier Stop Pesticidi di Legambiente – secondo cui il glifosato non sarebbe cancerogeno per l’uomo, ci si aspetterebbe qualcosa di più della convalidazione dell’etichetta del prodotto commerciale, bensì una valutazione scientifica su come le modalità di impiego, i tempi di esposizione, la dose utilizzata e soprattutto l’azione combinata e sinergica che più e diverse sostanze chimiche possono avere un impatto per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Andrebbe poi tenuto conto che solo una modesta quantità del pesticida irrorato in campo raggiunge in genere l’organismo bersaglio. Tutto il resto si disperde nell’aria, nell’acqua e nel suolo, con conseguenze che dipendono anche dal modo e dai tempi con cui le molecole interagiscono e si degradano dopo l’applicazione. Gli studi al riguardo sono estremamente abbondanti. In Italia, si può ricordare l’ultimo rapporto dell’Ispra, secondo cui i residui di fitosanitari sono presenti in oltre il 60% nelle acque superficiali e in oltre 30% di quelle sotterranee, e tra tutti emerge la presenza di glifosate e del suo metabolita Ampa”.

“Alla moria di api causata dai pesticidi neonicotinoidi – dichiara Francesco Panelli, apicoltore e responsabile di Unaapi – si aggiunge il rischio di quella causata dal glifosato, che rende le api vulnerabili. Ricerche scientifiche evidenziano l’impatto negativo del glifosato sulle api perchè intacca e colpisce il microbioma e mettendo purtroppo a rischio il ciclo biologico della famiglia di api”.

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