Acqua negata

 

Il pianeta Terra è a secco. Le immagini dallo spazio di una sfera blu ricoperta al 70% di acqua non devono ingannare: ben 2,1 miliardi di persone non hanno accesso ad acqua pulita e almeno 263 milioni di persone impiegano più di 30 minuti per raccoglierla. Il rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche, diffuso in occasione della “Giornata mondiale dell’acqua” lo scorso 22 marzo, fotografa un pianeta assetato. Solo il 2,5% dell’acqua è dolce e gran parte è racchiusa nelle calotte polari. A essere di fatto utilizzabile dagli esseri umani è appena lo 0,5%, quando è potabile e non contaminata.

Negli ultimi dieci anni l’utilizzo di acqua nel mondo è cresciuto di sei volte. Entro il 2050, con la popolazione mondiale che passerà da 7,7 miliardi di persone a circa 10, il consumo dovrebbe attestarsi intorno ai 5.500-6.000 km3 all’anno, con un aumento del 20-30%. Già oggi circa 1,9 miliardi di persone (il 27% della popolazione mondiale) vivono in aree con potenziale scarsità idrica grave mentre in 3,6 miliardi vivono in aree con potenziale scarsità idrica almeno un mese all’anno. «Se non facciamo niente, circa cinque miliardi di persone vivranno in aree con scarso accesso all’acqua entro il 2050 – avverte Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco – Abbiamo bisogno di nuove soluzioni nella gestione delle risorse per soddisfare la sfida emergente della sicurezza idrica, causata dalla crescita della popolazione e dai cambiamenti climatici. Il rapporto del 2018 propone soluzioni che si basano sulla natura, per gestire meglio l’acqua. È un compito importante che tutti noi dobbiamo adempiere per evitare conflitti legati alle risorse idriche». Le nature-based solution (in sigla Nbs) prevedono la gestione della vegetazione, dei suoli e delle zone umide. Perché decidere come utilizzare la terra in un’area può comportare conseguenze significative sulle risorse idriche, le persone, le economie e l’ambiente in territori anche molto distanti. Ad esempio, l’evaporazione dal bacino del fiume Congo, si legge nel rapporto dell’Onu, costituisce un’importante fonte di precipitazioni nella regione del Sahel. Allo stesso modo, il golfo di Guinea e l’umidità proveniente da tutta l’Africa centrale svolgono un ruolo vitale nella generazione di flussi vitali per il Nilo.

‘Se non facciamo niente, 5 miliardi di persone vivranno in aree con scarso accesso all’acqua entro il 2050’

Infografica su disponibilità di acqua nel mondo

Fino all’ultima goccia
Il 10% dei prelievi di acqua è destinato a usi domestici, il 20% a usi industriali e ben il 70% all’agricoltura. Un uso efficiente delle risorse idriche in agricoltura è sempre più urgente, tanto che il più importante evento internazionale dedicato alla food innovation, Seeds&Chips 2018, a Milano dal 7 al 10 maggio, ha come tema centrale l’emergenza acqua. Una discussione anticipata, lo scorso novembre, dal contest “Water first!”, ideato dall’Ufficio per la promozione tecnologica e degli investimenti dell’Onu per lo sviluppo industriale, il Cnr e l’Istituto italiano di tecnologia, che ha raccolto oltre 60 progetti da tutto il mondo. Non c’è dunque tempo da perdere. E serve cambiare subito modello agricolo, visto che dal 2010 si è registrato anche un aumento dell’uso di acque sotterranee di 800 km3 all’anno, principalmente per la coltivazione dei terreni. India, Stati Uniti, Cina, Iran e Pakistan da soli fanno il 67% dei prelievi mondiali. Con la conseguenza che un terzo dei più grandi sistemi di acque sotterranee al mondo è già in stato di sofferenza. Le cosiddette falde fossili, collocate a grandi profondità, la cui origine risale ad ere geologiche antiche milioni se non miliardi di anni, veri e propri giacimenti di acqua il cui sfruttamento è simile a quello del petrolio o del gas, hanno un tasso di ricarica che non supera l’1% annuo. Il loro utilizzo è concentrato per il 98% in Arabia Saudita, Libia e Algeria, innescando anche attriti fra gli Stati. Fra Giordania e Arabia Saudita, ad esempio, le tensioni legate allo sfruttamento delle acque fossili hanno generato veti incrociati sui reciproci progetti e impedito una politica di cooperazione, traducendosi in una gara silenziosa di pompaggio della risorsa. Altro scenario di conflitto è la falda fossile nubiana, una delle più grandi del pianeta con un’estensione di 540.000 km3, condivisa da Libia, Egitto, Sudan e Ciad. I bisogni crescenti di questi Paesi hanno generato uno sfruttamento eccessivo della falda, che secondo alcuni studiosi potrebbe durare solo altri 50 anni.

Scarichi illeciti
Non solo è poca, ma l’acqua a disposizione sul pianeta è sempre più sporca. A partire dagli anni ‘90 i livelli di inquinamento si sono aggravati in quasi tutti i fiumi in Africa, America Latina e Asia. L’Unep, il programma ambiente delle Nazioni Unite, calcola che circa l’80% delle acque reflue industriali e comunali venga immesso nell’ambiente senza essere trattato, con gravi conseguenze sulla salute umana e sugli ecosistemi. Non è un caso quindi che ogni giorno, denuncia l’Unicef, oltre 700 bambini muoiono per malattie legate ad acqua non pulita e a scarse condizioni igienico-sanitarie. Un degrado su cui pesa anche l’impatto di pesticidi e fertilizzanti, con due milioni di tonnellate all’anno di sostanze chimiche disperse nell’ambiente dall’agricoltura intensiva. I rilevamenti del 15% delle stazioni di monitoraggio delle acque sotterranee in Europa evidenziano, infatti, il superamento degli standard stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità riguardo al contenuto di nitrati nell’acqua potabile. Le stesse stazioni di monitoraggio hanno rilevato che nel periodo 2008-2011 circa il 30% dei fiumi e il 40% dei laghi erano eutrofici o ipertrofici.

Nuova Ecologia Cover maggio 2018

La mano dell’uomo
Anche se i cambiamenti climatici accelerano alcuni fenomeni come desertificazione e siccità, l’uomo è il principale artefice del proprio destino. E la gestione delle risorse idriche non si sottrae agli appetiti di chi insegue il profitto. «Con il termine water grabbing si indica l’accaparramento o il furto di acqua da parte di un “attore” di potere, economico o politico, che prende il controllo o devia a proprio vantaggio risorse idriche, sottraendole a comunità locali o a intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse e quegli stessi ecosistemi depredati», spiega la ricercatrice Marirosa Iannelli, che insieme al giornalista Emanuele Bompan ha scritto il libro Water Grabbing. Le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo.
Il furto d’acqua avviene deviando i fiumi per soddisfare il fabbisogno idrico dell’agricoltura, costruendo dighe per invasi destinati alla produzione di energia, privatizzando le fonti per sfruttarle economicamente, oppure destinando questa preziosa risorsa a usi industriali, con il relativo inquinamento. «Costruire dighe comporta lo spostamento di intere comunità in zone dove manca l’accesso all’acqua – spiega Marirosa Iannelli – Le persone dislocate si trovano dunque a vivere un’esistenza in zone aride e senza lavoro visto che non possono più pescare o allevare il bestiame. Nella Valle dell’Omo, in Etiopia, ad esempio, sono state dislocate già 500mila persone per la costruzione delle dighe. L’impatto non è solo sulla vita di queste persone, ma anche sugli ecosistemi. Il lago Turkana, dove arriva il fiume Omo, ha visto abbassarsi il suo livello».

copertina del libro Water GrabbingL’ecosistema del fiume Mekong, il più lungo e importante dell’Indocina, che attraversa Tibet, Cina, Myanmar, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam è stato stravolto addirittura da 39 dighe. «Un’altra conseguenza del water grabbing sono le migrazioni – aggiunge Marirosa Iannelli – che quando non si tratta di quelle verso l’Europa determinano spostamenti di popolazioni interne agli Stati, o fra quelli confinanti, con seri problemi di convivenza. È il caso della Siria, dove le prime migrazioni interne sono avvenute per cattiva gestione delle risorsa idriche e per la siccità».
Eppure l’acqua è un diritto universale dal 2010, da quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che inserisce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari fra i diritti umani fondamentali. La comunità internazionale si è anche dotata di un Trattato sulle acque transfrontaliere, ma ad oggi questo accordo è stato ratificato da solo 39 Stati. Manca ancora, ad esempio, il via libera di Stati Uniti e Cina. Gli interessi privati rendono difficile anche il raggiungimento del sesto obiettivo dell’Agenda 2030 dell’Onu, che prevede appunto di “garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua”.

Profitti e perdite
È anche per queste ragioni che trasformare l’acqua potabile in un business, come avviene oggi diffusamente, rappresenta una seria minaccia. «La gestione privata delle risorse idriche punta a massimizzare il profitto – spiega Emanuele Lobina, docente e ricercatore unità internazionale di ricerca sui servizi pubblici presso l’università di Greenwich – Questo comporta un’asimmetria delle informazioni a vantaggio del gestore e anche un’asimmetria di potere. Le multinazionali, infatti, hanno un bagaglio di esperienza e conoscenza a livello mondiale decennale, se non centenario, che non è controbilanciato da parte del pubblico». Così, una volta che si firma un contratto di gestione a lungo termine, si entra in un gioco in cui il coltello dalla parte del manico ce l’ha il privato. Ed è difficile uscirne. Perché le regole del gioco sono scritte dai legali delle multinazionali e non dalle amministrazioni pubbliche, che quando vogliono sottrarsi a contratti di gestione insoddisfacenti sono minacciati dalla spada di Damocle della compensazione milionaria per rescissione unilaterale del contratto. E anche dal gioco “sporco” dei privati che sospendono l’erogazione di qualche servizio. «Per questo – continua Lobina – i casi di ripubblicizzazione in corso nel mondo (267 a giugno 2017, ndr) in questi anni non sono da sottovalutare, anche come numeri, soprattutto se paragonati alle privatizzazioni che ancora oggi continuano, dato che i grandi poteri internazionali le favoriscono sotto il nome di “liberalizzazioni”. L’esempio di Parigi, che ha dovuto comunque aspettare la scadenza naturale del contratto per evitare le penali – aggiunge il ricercatore – è molto forte a livello di immagine e tante realtà locali, infatti, l’hanno seguito. Maggiormente nel Nord del mondo, dove l’ambiente istituzionale favorisce la programmazione a lungo termine richiesta dalla gestione di una risorsa preziosa come l’acqua». Insomma, la nostra Sorella acqua, molto utile, umile, preziosa e casta, per citare San Francesco, ha bisogno delle cure di tutti.

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